La serie raccoglie (pur con una consistentissima lacuna per oltre un secolo dal 1574 al 1681, soltanto in ridotta parte compensata dagli originali frammentari e dalle copie notarili conservatesi) gli originali delle deliberazioni adottate dal principale organo di governo della comunità di Russi durante tutta l'età dell'antico regime pontificio, cioè del "Consiglio generale" del Comune.
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Il Consiglio, come di consueto nelle comunità di antico regime, era la sede assembleare in cui il ridotto ceto dirigente comunitativo, fatto di possidenti ed esercenti di professioni espressi dai parentadi più in vista, di solito in carica a vita e poi surrogati da altri familiari, nonché - in maniera più contenuta - di artigiani e commercianti cooptati a un livello sociale più alto, poteva esercitare i suoi ridotti margini di potere autonomo in materia fiscale e di gestione delle risorse. Sue prerogative erano infatti principalmente: la nomina dei funzionari dell'amministrazione; la definizione dell'entità e del riparto dei carichi fiscali delle imposte sia comunitative sia camerali, determinate dalla Reverenda Camera Apostolica e dai legati pontifici; la gestione - sempre sospetta di parzialità e di interessi privati - degli appalti dei dazi e degli esercizi commerciali; la messa a reddito e la manutenzione del patrimonio mobile e immobile della comunità; la complessa e strategica gestione delle acque e delle strade. In assenza di precisi dettati statutari, si ricava dall'evidenza degli stessi partiti che il consiglio era composto di un numero variabile di consiglieri, fra la dozzina e la ventina, da cui venivano espressi un priore e due o quattro anziani la cui carica aveva durata bimestrale, a volte chiaramente distinti fra "Anziani di dentro" e "Anziani di fuori", cioè del centro abitato o del contado. A loro tutti era comunque preposto il podestà, cioè il governatore con poteri soprattutto giudiziari e a cui competeva di convocare il consiglio.