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  Rapporti con il Comando generale delle brigate Garibaldi e poi Corpo volontari della libertà (CVL) 1944
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serie
unità documentarie 49
sei in: Archivio dell'VIII brigata Garibaldi Romagna 11 gennaio 1944 - 30 novembre 1944

La serie ordina la documentazione ricevuta dal'8ª brigata dal Comando generale delle brigate Garibaldi, e dalla sua costituzione, nel giugno del 1944, dal  Corpo volontari della libertà  del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
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Contiene inoltre i "Bollettini" a cura del “Combattente”, organo a stampa dei nuclei partigiani forlivesi che nell’inverno 1943-44 formano l’8ª Brigata Garibaldi.

informazioni sul contesto di produzione
Comando generale delle brigate Garibaldi
Il 20 settembre 1943 a Milano venne costituito il comitato militare del PCI che in ottobre si trasformò in comando generale delle Brigate d'assalto Garibaldi, sotto la direzione di Longo e Secchia. Questa embrionale struttura dirigente, inizialmente dotata di mezzi molto limitati, diede subito avvio alla sua azione, diretta soprattutto al superamento di ogni "attesismo" ed al potenziamento costante dell'attività militare di contrasto alla potenza occupante ed alle risorgenti strutture politico-militari del fascismo della RSI.
Il comando generale delle brigate previde subito di sviluppare la lotta armata sulla base di tre direttrici organizzative fondamentali: la costituzione, a partire dalle cellule comuniste già attive nelle città, di una rete di staffette con il compito di collegare i nuclei di militanti nelle varie zone, rafforzare i collegamenti ed attuare concretamente la lotta partigiana. A questo scopo venne stabilito che il 50% dei militanti del partito fossero assegnati all'attività militare. La formazione di un corpo di ispettori assegnato nelle varie regioni con il compito di controllare l'attività partigiana delle brigate e di sviluppare l'attività politico-militare dei militanti. Infine, il decentramento degli stessi membri del comando generale; secondo questa direttiva, quindi, mentre il vertice rimase in clandestinità a Milano, in ogni regione venne organizzata una delegazione distaccata guidata da un membro del comando con ampi poteri decisionali.
Dopo la dichiarazione di guerra alla Germania del governo Badoglio (13 ottobre 1943), il comando generale delle Brigate Garibaldi diramò un documento ("Direttive d'attacco") in linea con le direttive politiche del PCI a favore dell'organizzazione e dell'intensificazione della guerra partigiana, caratterizzato da una rivendicazione della legalità e da un appello alla lotta senza quartiere contro gli occupanti tedeschi e i militanti del nuovo fascismo republicano[2]. Nel novembre 1943 fu Pietro Secchia che, in un articolo sulla rivista del PCI "La nostra lotta", precisò ulteriormente in modo inequivocabile il disegno politico-militare adottato dalla Brigate Garibaldi: dopo una critica serrata dell'"attesismo", il dirigente del comando generale affermava l'importanza dell'azione immediata militare per "abbreviare la guerra" ed in questo modo ridurre i tempi dell'occupazione tedesca, risparmiando le popolazioni e i villaggi; per dimostrare agli alleati la volontà del popolo italiano di lottare per la propria liberazione e per la democrazia; per contrastare la politica del terrore nazifascista e renderne insicura l'occupazione; in ultimo per stimolare, mediante l'azione concreta, la crescita dell'organizzazione e della lotta partigiana.
Tutte le Brigate Garibaldi dipendevano direttamente dal Comando generale, di cui fecero parte all'inizio, oltre allo stesso Longo (comandante generale), Pietro Secchia, che era anche il commissario politico delle brigate (nome di battaglia "Botte" o "Vineis"), Giancarlo Pajetta ("Luca", vicecomandante); Giorgio Amendola ("Palmieri"), Antonio Carini ("Orsi", ucciso nel marzo 1944), Francesco Leone, Umberto Massola, Antonio Roasio, Francesco Scotti, Eugenio Curiel (caduto il 24 febbraio 1945). 
Oltre a Longo, a Secchia ed agli altri componenti del Comando generale, svolsero un ruolo importante di coordinamento regionale anche Antonio Roasio ("Paolo"), a cui fu affidato il controllo delle Brigate Garibaldi in Veneto ed Emilia, Francesco Scotti ("Fausto" o "Grossi") che guidò le formazioni in Piemonte e Liguria, e Pietro Vergani ("Fabio"), responsabile in Lombardia. Il Partito Comunista Italiano svolse un ruolo decisivo nel potenziamento e nell'organizzazione; fin dall'inizio le strutture del partito decisero che almeno il 10% dei quadri ed il 15% degli iscritti fosse inviato in montagna per costituire un nucleo fondamentale di aggregazione e coesione intorno a cui sviluppare le varie unità.
Inoltre le Brigate Garibaldi avevano propri rappresentanti nei comandi regionali del CVL, che furono: in Piemonte Giordano Pratolongo e poi Francesco Scotti; in Lombardia Pietro Vergani; in Liguria Luigi Pieragostini e dopo il suo arresto il 27 dicembre 1944 Carlo Farini; in Emilia-Romagna Ilio Barontini; in Veneto Pratolongo e poi Aldo Lampredi; in Toscana prima Luigi Gaiami e poi Francesco Leone e Antonio Roasio, nelle Marche Alessandro Vaia, in Umbria Celso Ghini. A Trieste erano attivi Luigi Frausin e Vincenzo Gigante che, in collegamento con il comando generale, tennero i rapporti con il movimento di liberazione jugoslavo, sostenendo la necessità di rinviare le questioni territoriali a dopo la fine del conflitto e di condurre insieme la guerra contro il nemico. Frausin e Gigante furono catturati dall'SD tedesco il 28 agosto e il 15 novembre 1944, deportati e uccisi quasi certamente nel campo della Risiera di San Sabba.
Caratteristica dell'attività del comando delle Brigate Garibaldi fu il tentativo costante di trasformare le formazioni partigiane in avanguardia ed elemento costitutivo del processo di introduzione della massa della popolazione nell'antifascismo attivo, con un continuo sforzo di integrazione tra lotta armata e mobilitazione civile dei cittadini attraverso i loro rappresentati. Con un ulteriore sforzo organizzativo, i dirigenti comunisti del nucleo di Milano crearono a partire dal giugno 1944 su scala regionale i cosiddetti "triumvirati insurrezionali" per coordinare la lotta politica del partito nelle città occupate e nei luoghi di lavoro con l'azione concreta delle formazioni partigiane di montagna in vista dell'auspicata insurrezione generale.

tratto da: Brigate Garibaldi

Corpo Volontari della Libertà - CVL
Il Corpo volontari della Libertà (CVL) è la prima struttura, riconosciuta tanto dal Governo italiano quanto dagli Alleati, di coordinamento e unione delle forze partigiane. Il comando generale del CVL si costituisce a Milano, nel giugno 1944, quale evoluzione del comando militare del CLNAI. Ha il compito di elaborare una linea politico-militare comune per le varie brigate partigiane che stanno operando contro i nazifascisti. Il CVL è il braccio armato della Resistenza, mentre il CLN ne è la mente politica, e nasce in un momento di importanti cambiamenti: liberata Roma, si instaura in quei giorni il primo governo di unità antifascista, diretta emanazione del CLN, con alla guida Ivanoe Bonomi.
A livello politico, il CVL è un organismo unitario che rappresenta il movimento partigiano presso il governo italiano e gli Alleati; inoltre, funge da “collante” tra le varie formazioni, in modo da superare le «tensioni e [le] conflittualità perduranti» tra le varie entità politiche rappresentate nelle diverse brigate (F. Sessi-R. Sandri, Corpo volontari della libertà, comando generale per l'Alta Italia occupata, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, p. 419).
Il CVL non riesce ad assolvere pienamente la funzione operativa per la quale è nato, data la complessità della situazione politica e militare dell'Italia occupata; tuttavia resta fino alla Liberazione il principale riferimento per le formazioni partigiane. Sul campo, il CVL coordina le operazioni soprattutto attraverso i CLN locali, che divengono comandi regionali del Corpo. «[…] il processo travagliato – scrivono Sessi e Sandri – di unificazione e strutturazione del comando Cvl coincide con il periodo della “grande estate partigiana”» del 1944, «punto massimo di schieramento offensivo partigiano con la moltiplicazione degli scontri, l'occupazione di vallate e territori pedemontani, la costituzione di zone libere e di repubbliche partigiane» (Ivi, p. 420). A quest'estate gloriosa segue, purtroppo, lo stallo del fronte sulla Gotica e il noto “proclama Alexander”, che invita i partigiani a passare alla difensiva e attendere la fine dell'inverno. Per le forze partigiane e per lo stesso CVL è uno shock anche da un punto di vista materiale, poiché lo stallo sul fronte comporta anche la sospensione degli aiuti e dei rifornimenti alle bande da parte degli Alleati.
Il 2 dicembre 1944 il comando CVL dirama alle brigate la propria interpretazione del proclama Alexander, visto come un invito alla “pianurizzazione” – cioè, la discesa dalla montagna in pianura – delle formazioni partigiane, che non devono rassegnarsi all'attesa ma piuttosto darsi all'attività di guerriglia nelle campagne e nei centri cittadini.
Il 7 dicembre successivo, con i "Protocolli di Roma" – un accordo fra CLNAI e Alleati – le formazioni partigiane vengono riconosciute formalmente a condizione che, a guerra conclusa, i combattenti depongano le armi e si sottomettano all'amministrazione anglo-americana.
Le forze della Resistenza sono così sottoposte a un unico comando militare, guidato da Raffaele Cadorna, generale dell'esercito regolare italiano, inviato presso il CVL dal governo Bonomi già nell'agosto precedente. Cadorna è affiancato dai vicecomandanti Ferruccio Parri (Partito d'Azione) e Luigi Longo (Partito Comunista), esponenti di spicco dei due partiti politici che maggiormente hanno voluto l'inquadramento delle forze partigiane in una struttura omogenea. Gli altri componenti del CVL sono, in questa fase, che sarà quella conclusiva, Giovanni Battista Stucchi (Partito Socialista), nominato capo di stato maggiore; Enrico Mattei (Democrazia Cristiana); Mario Argenton (Partito Liberale e formazioni autonome), aggiunti al capo di stato maggiore.
Molti membri del CVL, nelle varie fasi belliche, vengono catturati, deportati o trucidati dai nazifascisti, oppure muoiono in combattimento: Gianni Citterio, morto nella battaglia di Megolo il 13 febbraio 1944, già rappresentante delle Garibaldi presso il Corpo; il democristiano Galileo Vercesi, ucciso a Fossoli il 12 luglio; Giuseppe Perotti, del CLN piemontese, fucilato al poligono del Martinetto il 5 aprile 1944. Anche Ferruccio Parri viene arrestato il 2 gennaio 1945, e sarà liberato grazie ad accordi tra Alleati e tedeschi dopo due mesi di detenzione.
Il CVL concorda con i comandi alleati l'offensiva sulla linea Gotica e l'insurrezione nazionale che, nella primavera del 1945, porta alla Liberazione dell'Italia settentrionale.
Il comando generale del CVL si scioglie per decisione unanime il 15 giugno 1945. Il suo impegno ha permesso che il partigianato italiano, unico nel contesto europeo, sia giunto alla pace «avendo alla sua testa un comando rappresentativo di tutte le forze protagoniste della lotta» (Ivi, p. 422). Con la legge del 21 marzo 1958, n. 285, il CVL ottiene il riconoscimento giuridico di corpo militare regolarmente inquadrato nelle forze armate italiane.
La bandiera del CVL, decorata di medaglia d'oro al valor militare, è attualmente custodita presso il Museo delle Bandiere dell'Altare della Patria, a Roma.

tratto da: Corpo volontari per la libertà

storia archivistica
Mengozzi, 1981: "Comando generale delle brigate Garibaldi".


codice interno: 1241 - 001.001