Da alcuni resoconti allegati alla documentazione processuale si apprende quanto segue. Don Giovanni Battista Cinti, già membro della Compagnia di Gesù, si trovò ad abitare a partire dal 1792 nella casa di tale Maresti, uomo senza scrupoli che non ebbe diffcoltà a raggirare l'anziano ed infermo sacerdote per ottenere da lui ingenti somme di denaro con il pretesto di portare avanti varie cause nei confronti di debitori del Cinti. Allorchè Mattia de Rozas, erede fiduciario del Cinti, alla presenza del confessore padre Carlo Rodolfi, fu informato di questo stato di cose, ne chiese conto al Maresti: ne conseguì che costui e la di lui figlia presero a trascurare il sacerdote al punto che fu necessario procurargli un servitore. In seguito alla morte del Cinti, l'erede de Rozas citò in giudizio Virginio Maresti per l'esazione di un grosso debito contratto dal Maresti in forma di mutuo. Al contempo la figlia di Maresti esibiva una carta, che i periti giudicavano falsa, in base alla quale il Cinti morente le avrebbe lasciato una certa somma di denaro.