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  Periodo della Comunità 10 marzo 1509 - 25 marzo 1808
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registri 71, filze 16, fascicoli 2, mazzi 3, volume 1
sei in: Archivio storico del Comune di San Leo 10 marzo 1509 - 1945

Quanto prodotto dal Comune di San Leo in periodo di Antico Regime partendo dalla prima metà del sec. XVI.
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criteri di ordinamento
Su questa documentazione, nel 1998-1999, è stata condotta la schedatura informatizzata che ha comportato, attraverso procedure omogenee ed uniformi, l'immissione su eleboratore elettronico dotato di programma informatico dedicato (Secretaire), dei dati archivistici di ogni unità.
Sono state interessate dalla schedatura circa 200 unità archivistiche, di cui 93 sono risultate appartenere all'archivio propriamente comunale e 104 ad archivi ad esso aggregati.
Infatti, la schedatura puntuale ed analitica condotta su ciascuna unità archivistica ha evidenziato che molte unità, conservate sino ad allora in modo indiviso ed indifferenziato con altre propriamente comunali, erano invece afferenti ad archivi aggregati a vario titolo a quello propriamente comunale.
Fra gli aggregati, si sono riconosciuti gli archivi dell'Abbondanza, del Monte di Pietà, di alcune comunità annesse seppur in diversi momenti storici a quella di San Leo, del Commissariato - Provincia del Montefeltro.
E' stato poi attuato, dopo la schedatura, il raggruppamento informatizzato delle schede prodotte, a seguito del quale si sono ricostituite le serie archivistiche, le partizioni e le strutture originarie degli archivi.
E' seguito il riordinamento fisico dei pezzi, posti in ordine cronologico all'interno di ogni serie, con attribuzione di un numero di corda che è lo stesso che contraddistingue la scheda relativa nello strumento prodotto alla fine dell'intervento, l'inventario, che rende conto delle modalità dell'intervento archivistico condotto, della storia istituzionale di ciascun ente produttore, delle vicende degli archivi di ciascuno di essi e correda tutte le serie archivistiche di una opportuna introduzione.

informazioni sul contesto di produzione
Il documento più antico testimonianza dell'esistenza di organizzazione e magistrature comunali nella città di San Leo è datato al luglio del 1284 e vi sono citati i consoli come rappresentanti del popolo, il consiglio in qualità di organo deliberativo ed il comune come insieme organizzato della popolazione attiva rappresentante dell'universitas leontina.
La figura del sindicus con compiti di rappresentanza legale della comunità è attestata invece in un mandato papale del 1 marzo 1296, che Bonifacio VIII dirige al nunzio apostolico in Romagna.
In epoca moderna, periodo storico documentato dalle scritture comunali più antiche fra quelle rimaste, il comune di San Leo risulta organizzato, così come dal suo statuto approvato nel gennaio 1510, in una serie di organi collegiali e di funzionari preposti alla gestione amministrativa e giudiziaria della comunità.
Fra gli altri, l'organo deliberativo, che è ormai divenuto rappresentativo dopo che è caduto in disuso l'arengo o parlamento generale composto da un rappresentante per famiglia, è costituito dal "Consiglio dei Quaranta" così detto perché composto di 40 consiglieri.
Riuniti in assemblea deliberante alla presenza del podestà, le loro risoluzioni avevano validità se prese nell'ambito di un consiglio a cui avessero partecipato i 2/3 degli aventi diritto. Fu proprio la difficoltà di avere presente il numero legale dei consiglieri che portò il cardinal legato a sanzionare, in varie occasioni nel corso del sec. XVII e su espressa richiesta della comunità, deliberazioni prese con l'intervento di un numero minore di consiglieri.
I ripetuti interventi in questo senso, portarono il cardinal legato a ridurre definitivamente il numero dei consiglieri da 40 a 30, rimanendo con ciò fermo il numero legale ai 2/3. La decisione fu comunicata alla comunità di San Leo con lettera diretta al podestà, palesata nel corso della seduta consiliare del 30 settembre 1656.
La documentazione successiva testimonia la realtà di 36 componenti il consiglio generale, ciò è spiegabile considerando aggiunti ai 30 consiglieri concessi dal cardinal legato, i 6 che, nel corso di un anno servivano come priori.
In ultima analisi, l'intervento di diminuzione dei componenti il consiglio genera dalla progressiva chiusura del ceto dirigente che portò all'accentramento del potere nelle mani del patriziato locale e la conseguente impossibilità per lo stesso di coprire tutto il numero dei consiglieri con soggetti attivi e validi.
La conseguenza estrema di tale situazione si ha nel corso del sec. XVIII quando, in deroga alle disposizioni statutarie, il cardinal legato, con concessioni annualmente rinnovate, rende validi consigli con 16 partecipanti, vista l'enorme difficoltà che si incontra a radunarne 24, cioè i 2/3 che formavano il numero legale.
Per sostituire i consiglieri morti o inabili per infermità e/o vecchiaia, venivano proposti i loro figli o parenti stretti, fra i quali l'assemblea consigliare sceglieva per votazione segreta e sottoponeva poi la scelta all'approvazione dell'autorità superiore. Questo tipo di procedura, già citata come consuetudine antica nella documentazione comunale della fine del sec. XVI, testimonia l'ereditarietà della carica e la conseguente avvenuta chiusura di ceto e formazione di élite di governo.
Attestata per la prima volta nella formazione del bossolo del magistrato avvenuta nella seduta consigliare del 19 maggio 1686, è la diminuzione del numero dei componenti l'organo esecutivo, il magistrato, che passa da quattro soggetti (1 gonfaloniere e 3 priori) a 3 (1 gonfaloniere e 2 priori).
L'elezione dell'esecutivo, che rimaneva in carica sei mesi, avveniva tramite estrazione, dall'urna apposita detta "bussolo", di un biglietto, fra i tanti che vi erano stati immessi, su ciascuno dei quali erano indicati il nome del gonfaloniere e quello dei priori.
Quando dall'urna era stato estratto l'ultimo biglietto che vi era contenuto, si procedeva alla sua reintegrazione secondo un metodo che viene richiamato e ricordato nella seduta del 28 aprile 1604. Gli ultimi estratti, chiamati il podestà ed i consiglieri, compilavano i nuovi elenchi da immettere nel bussolo, considerando per primi coloro che facevano parte del vecchio e, come ultimo atto, inviavano al duca per l'approvazione l'elenco dei prescelti.
Con sua lettera del 26 febbraio 1613, il duca stabilisce che, nel fare il bussolo del magistrato, debbano essere proposti, per ricoprire la carica di gonfaloniere, individui che siano dottori in legge che abbiano servito come luogotenente, commissario, auditore, governatore etc. o dottori in medicina che abbiano esercitato condotte di primo grado o capitani che abbiano servito in guerra.
L'urna da cui venivano estratti i biglietti contenenti i nomi dei componenti il magistrato era conservata dal notaio cancelliere della comunità, unitamente a quelle da cui si estraevano gli abbondanzieri, i cancellieri ed i coltori, e veniva consegnata da costui, al termine del suo mandato, unitamente al sigillo della comunità, nelle mani dell'esecutivo in carica.
Tale passaggio si ripeteva anche al rinnovo del magistrato, essendo il gonfaloniere che veniva a cessare consegnatario di sigillo, bussolo e scritture nelle mani del nuovo.
Nel dicembre del 1635, in risposta ad una circolare inviata dal vice legato al fine di conoscere le istituzioni di ciascuna comunità, due deputati ad hoc dal consiglio generale di San Leo scrivono che coloro che fanno parte degli eleggibili al magistrato sono 32, più precisamente 8 gonfalonieri e 24 priori, inscritti in 8 biglietti, ciascuno dei quali portante il nome di 1 gonfaloniere e 3 priori. Al fine del rinnovo dell'esecutivo, ogni sei mesi veniva estratto uno di questi biglietti.
Da questa relazione di risposta alla circolare inviata dal vice legato, i 32 eleggibili al magistrato risultano essere altro dai 40 consiglieri e la cosa sembra confermata da un punto all'ordine del giorno nel consiglio del 6 ottobre 1586, quando palesato che mancano 11 consiglieri per raggiungere il numero dei 40, si propone di coprire i seggi vuoti con coloro che sono stati imbussolati fra i priori. La proposta non è accettata e si ricorre a nuovi nomi.
Nella prima metà del sec. XVIII invece è fra i 36 componenti il Consiglio, che vengono scelti i nomi di coloro che serviranno come gonfalonieri e priori. Più precisamente, 12 consiglieri sono di primo grado, esponenti delle migliori famiglie cittadine ed è al loro interno che si nominano i gonfalonieri, mentre gli altri 24, esponenti di famiglie possidenti suburbane, forniscono i due priori per magistrato.
L'elezione dell'esecutivo avviene ancora per estrazione dal bussolo.
Al controllo dell'amministrazione della cosa pubblica ed all'amministrazione della giustizia in primo grado, era eletto dall'autorità superiore, tramite lettera patente, un podestà che, all'atto della presa di possesso del suo ufficio, giurava nelle mani degli uomini del consiglio.
La sua giurisdizione era su tutte le comunità che componevano la podestaria di San Leo e cioé, oltre a San Leo stessa, Maiolo, Soanne e Massa Manente.
Relativamente al governo amministrativo ed economico, era tenuto a far eseguire tutto ciò che fosse stato necessario per mantenere la consistenza finanziaria e patrimoniale della comunità, pertanto a farne esigere i crediti, le tasse, i prestiti ed ogni altro tipo di entrata.
Su richiesta dell'esecutivo, convocava le assemblee deliberative a cui era tenuto a presenziare, nell'intento di controllare che fossero rispettate ed eseguite le normative statutarie nonché le disposizioni dell'autorità superiore, e che fossero verbalizzate le deliberazioni prese e che le stesse fossero rese esecutive.
Alla sua presenza venivano estratti i nomi dei componenti l'esecutivo, degli abbondanzieri, dei notai che dovevano poi servire come cancellieri. Spesso, unitamente ad individui appositamente eletti dal consiglio, si occupava dei sindacati degli ufficiali o delle revisioni dei conti.
Rimaneva in carica sei mesi ed era fatto divieto dallo statuto che fosse riconfermato; poteva essere rieletto solo dopo che fossero trascorsi almeno sei mesi nel corso dei quali l'ufficio fosse stato ricoperto da altri.
Il suo stipendio gli era pagato in parte dalla Reverenda Camera Apostolica ed in parte dall'insieme delle comunità che costituivano la sua podestaria.
Al termine del suo mandato, consegnati registri e carte in mano del massaro del Comune, era sottoposto a sindacato ad opera di due eletti dal consiglio generale.
Le verbalizzazioni delle risoluzioni prese dall'organo deliberativo, com'anche la certificazione di altri atti degli organi comunali aventi validità giuridica , era compito del notaio cancelliere che, per disposizione statutaria doveva essere sempre presente ai consigli per redigerne i verbali ed a lui era demandata l'interpretazione delle norme statutarie laddove risultassero oscure.
Secondo una risoluzione presa nel corso della seduta consiliare del 3 agosto 1584, l'annuale nomina del cancelliere avveniva per estrazione da un'urna appositamente creata con i nomi di coloro che potevano ricoprire l'incarico. La durata di un anno dell'incarico è confermata da una nota compilata dai deputati del consiglio, nel dicembre del 1635, per rispondere ad una circolare inviata dal vice legato, volta a conoscere le istituzioni delle singole comunità della Legazione. In realtà, era annualmente possibile la riconferma per cui risultano dalla documentazione, cancellieri che sono rimasti in carica per tanti anni, addirittura sino alla morte e che per sostituirli siano stati poi nominati i figli, a caratterizzare l'incarico come impiego a vita e con caratteri di ereditarietà.
Il cancelliere ossia segretario della comunità non percepiva nulla come contribuzione per far fronte ai compiti di verbalizzazione dei consigli e di stesura di rogiti per parte della comunità. Le sue entrate erano rappresentate da ciò che redigeva per i privati, ad iniziare dalla formazione semestrale dei bastardelli per il coltore, dalla stesura di istrumenti di appalti di servizi comunali sino alle patenti di elezione ad uffici comunali o la redazione dei benserviti per coloro che cessavano il loro incarico.
Relativamente alla redazione di alcune copie di atti (di consigli, di mandati di procura, etc.) che potessero servire per essere esibite in tribunale in occasione di litigi o che dovessero essere inoltrate all'autorità superiore per un qualche motivo, anche la comunità pagava la scrittura ed inoltre forniva la carta.
Spesso il notaio cancelliere affiancava gli eletti alla revisione dei conti o al sindacato, di qualche ufficiale al termine della carica pubblica ricoperta. A suo carico era la custodia dei bussoli dei priori, degli abbondanzieri, dei cancellieri e dei coltori e del sigillo della comunità, che al termine del suo mandato rimetteva nelle mani dell'esecutivo. E ciò unitamente ai registri ed alle carte che facevano capo ai suoi compiti, strettamente legati all'attività di governo dell'esecutivo.
A questo proposito particolarmente illuminanti i capitoli che nel marzo del 1612 vengono proposti dai priori in carica e deliberati dal consiglio per un migliore governo della comunità. In essi, fra gli altri, una serie di registri da tenersi dai priori e dal cancelliere, fra cui quello dei consigli, quello delle colte, quello dell'Abbondanza ed un registro in cui fossero annotati i mandati di pagamento indirizzati al depositario. Gli stessi capitoli prevedevano fra l'altro che i priori si provvedessero di una cassa, per conservarvi detti registri e carte, chiusa con due chiavi di cui una doveva essere custodita dal cancelliere. La stessa risoluzione viene percorsa due anni più tardi quando in ottemperanza ad una lettera inviata dal duca che raccomanda la sicurezza delle scritture, si delibera per un credenzone chiuso da due chiavi, di cui una doveva essere tenuta dal cancelliere. Anche il verbale di consegna di tali scritture da un magistrato all'altro doveva essere redatto dal cancelliere.
Sempre fra i compiti del cancelliere era la gestione dei registri di estimo o catasto, cioé la scrittura di nuove acquisizioni, il trasporto di particelle catastali a nuovi proprietari, etc. e ciò sino alla metà del sec. XVII, quando la custodia ed il "maneggio" del catasto passano a persona apposita.
Serviva la comunità ed il tribunale del podestà / pretore il piazzaro con compiti di notificazione sia in campo amministrativo che giudiziario. Relativamente a quest'ultimo campo sua era la citazione, ad istanza di chiunque fosse fatta anche privati, dei chiamati in giudizio. Sempre su istanza del tribunale o di privati requisiva i pegni da consegnarsi poi al massaro perché fossero custoditi.
A servizio della comunità, bandiva la convocazione delle assemblee consiliari, faceva ambasciate, rendeva pubblici i bandi e le notificazioni. Pertanto, la quasi totalità del suo servizio si svolgeva per spostamenti su strada, tanto che nel consiglio del 19 marzo 1633, si delibera di comprargli un paio di scarpe per il continuo e straordinario impegno profuso in quel periodo a servizio della comunità.
Nell'ambito delle assemblee consiliari rimaneva a disposizione per qualsiasi cosa occorresse ed in particolare per invitare ed introdurre i concorrenti ai pubblici appalti che bandiva alla finestra o alla porta della sede comunale.
Eletto in consiglio generale, all'atto della presa di possesso giurava nelle mani del podestà di bene esercitare il suo compito e di tenere segreti gli affari del comune di cui sarebbe venuto a concoscenza. Il suo salario e le modalità di pagamento dello stesso erano stabilite in consiglio e non poteva chiedere pagamenti ulteriori per i compiti che svolgeva per la comunità.
Col XVIII secolo, i compiti svolti dal piazzaro per la comunità vengono assunti dalla figura del donzello, a cui compete anche la manutenzione dei pubblici lavatoi, degli sboccatoi alla volta, delle panche del magistrato nelle chiese cittadine, la pulizia della piazza e la formazione delle rotte in tempo di neve, oltre ad accompagnare, con la livrea d'ordinanza, il gonfaloniere in occasioni pubbliche e private.
Per la buona tenuta delle strade, previsti dallo statuto, erano i viali, eletti dall'esecutivo pro tempore, in numero di due per contrada, che all'atto della presa di possesso dell'incarico giuravano nelle mani del podestà ed il cui compito era percorrere le strade comunali per controllare che il tracciato ed i confini delle stesse con i possedimenti privati fossero rispettati e per evidenziare e conseguentemente segnalare i guasti e sopraintendere ai conseguenti risarcimenti da farsi. La visita ultima delle strade era compito del podestà che era poi tenuto a relazionarne all'autorità superiore.
Sempre relativa al controllo del territorio era la figura del gualdaro tenuto a controllare che le bestie non arrecassero danni alle colture ed alle selve, aiutandosi anche, secondo i capitoli dell'11 aprile 1586, con un corno da suonare per spaventare greggi e pastori.
Accanto alla figura del gualdaro, lo statuto rende conto delle guardie celate nominate dal podestà nelle cui mani giurano ed i cui nomi sono tenuti segreti dallo stesso. Il loro compito era quello di riferire al podestà i danni che venivano comminati nella corte di San Leo a scapito delle colture e con il conseguente depauperamento della consistenza annonaria dell'insieme della comunità.
Nonostante l'attività del gualdaro ed a seguito di quella delle guardie celate si giungeva alla denuncia dei danni che venivano arrecati da persone e/o da bestie alle colture, dei quali l' intero quarto "libro" degli statuti si occupa. Relativamente a questa materia, l'esecutivo eleggeva semestralmente due individui per contrada, detti stimatori dei danni dati, che erano tenuti ad andare a vedere e stimare ogni danno arrecato, a richiesta dei padroni delle colture che tali danni avevano subiti. Lo stesso giorno dovevano poi riferire la loro stima del danno al podestà, perché lo stesso lo scrivesse in registro apposito e desse corso al relativo procedimento.
Sempre relativi all'attività di approvigionamento e controllo annonario della comunità, erano le figure dei soprastanti o appodimatori che, eletti e pagati dal comune per sei mesi, sorvegliavano che le vendite del pane e vino ed altri generi al minuto, fossero fatte secondo i termini stabiliti nei capitoli fra venditori e comunità.
Per ciò che concerne l'attività finanziario-contabile e patrimoniale del comune, lo statuto del 1510, prevedeva la sola figura del massaro col compito principale di ricevere e conservare i denari, le cose ed i beni del comune. A questo proposito, sua era la custodia dei beni requisiti in giudizio, dei quali era tenuto a dare descrizione in apposito bastardello e che non poteva restituire se non su mandato superiore. Ed ugualmente, sua era la custodia delle armi di proprietà del comune, di cui era tenuto a fare inventario e la conservazione dei registri e scritture di tutti gli ufficiali comunali, dai quali poteve estrarre copia solo su autorizzazione dei priori.
Tutti i beni che conservava andavano consegnati con inventario al successore una volta che questi aveva giurato.
Nell'ambito delle disposizioni statutarie, sempre del massaro, era la gestione, in entrata ed in uscita, del denaro; attività che lo caratterizzava come cassiere del comune.
Era eletto dal consiglio generale e prima di entrare in carica doveva giurare nelle mani del podestà e dare sigurtà a tutela degli interessi della comunità. L'incarico durava sei mesi e non poteva essere rieletta la stessa persona se non trascorso un anno dal precedente incarico. Al termine del mandato, il suo operato era sottoposto a revisione ad opera di due eletti dall'esecutivo che agivano insieme al podestà.
In base ad una nota presente nel verbale del consiglio del 16 novembre 1578, che è fra l'altro l'ultima attestazione della figura del massaro, risulta che, dovendosi eleggere il coltore, non si può eleggere il prescelto perché a norma statutaria "chi è stato sei mesi massaro non possi essere di nuovo se non passato un anno". Ciò lascierebbe presupporre che anche l'esazione delle tasse, che era del coltore, fosse in realtà attività del massaro o quantomeno che la stessa persona ricoprisse i due ruoli.
L'attribuzione dei tanti compiti che originariamente erano del solo massaro, fatta sul finire del sec. XVI a diversi ufficiali comunali, portò alla creazione, fra gli altri, della figura del depositario, la cui prima elezione si ha nel corso della seduta consiliare del 2 gennaio 1586. In quell'occasione, sulla proposta del podestà di eleggere un soggetto che tenesse conto di tutte le entrate della comunità, si deliberò la creazione di un depositario con compiti di cassiere. Nell'ottobre successivo, constatando che fra i compiti del depositario vi era anche quello di riscuotere per la comunità la parte ad essa spettante delle pene pecuniarie comminate al banco del podestà, si deliberò che la chiave della cassa relativa fosse in sua mano.
Non poteva pagare se non su mandato direttogli dal cancelliere firmato da almeno due priori ed aveva l'obbligo della tenuta di un registro in cui annotare entrate ed uscite.
La creazione di un nuovo ufficiale fra quelli che attendevano al governo della cosa pubblica, che si prendesse cura del patrimonio della comunità e della sua amministrazione, compiti in precedenza assolti dal massaro, venne affrontata nel consiglio del 28 ottobre 1594, nel corso del quale si deliberò, a questo proposito, l'elezione di un sindico, il cui compito era occuparsi delle entrate ed uscite della comunità, sia in grano che in altro genere, recuperarne i crediti, pertanto esserne il rappresentante e procuratore.
Si deliberò che la carica durasse un anno, al termine del quale l'operato del sindico era sottoposto a revisione.
Un paio di mesi dopo la sua creazione, gli vennero attribuiti gli stessi compiti che svolgeva per la comunità, in materia di entrate ed uscite e recupero crediti, anche per l'Abbondanza ed, a partire dal 1613, il compito di riscuotere la rata di pertinenza della comunità delle pene pecuniarie comminate al tribunale podestarile, denominate capisoldi, compito che nell'ottobre del 1586 era stato attribuito al depositario.
La coincidenza della figura del sindico con quella del depositario, ma non solo, emerge anche dalla redazione dei capitoli, proposti dai priori e votati dal consiglio nel marzo del 1612 al fine del miglioramento del governo della comunità. In essi infatti, viene citato "un libro della sindicaria per il depositario", ove registrare tutte le entrate anche quelle dei beni immobili "o per contratto o acquisto fatto dal detto sindico o depositario".
Nel marzo del 1615, fu deliberato uno stipendio annuo per il sindico che, precedentemente a questa data, risulta non pagato e nell'agosto dello stesso anno, una lettera ducale gli attribuisce il compito di visitare ponti, vie, fossi, fonti, sullo stato dei quali relazionare in un apposito registro da inviare poi in Suprema Udienza.
Contestualmente alla creazione della carica di sindico, si deliberano le tipologie di annotazioni che lo stesso deve tenere in appositi registri, genericamente definiti "libri della sindicaria" e fra gli altri, un registro in cui annotare i debitori della comunità, che risulta effettivamente compilato a partire dal 1604, ma oggi perduto.
L'essere responsabile del patrimonio della comunità, porta il sindico ad occuparsi in più di una occasione, della conservazione dei registri e scritture della stessa, tanto che, quando nel novembre del 1618 sembrano essere perduti "doi o tre libri della comunità", gli stessi vengono ritrovati presso di lui e quando nel giugno del 1633 si delibera che tutte le scritture, libri e lettere di pertinenza della comunità siano recuperate dai privati presso i quali si trovano, è al sindico che le stesse debbono essere consegnate perché le inventari e le riponga nel credenzone apposito e ne dia conto al termine del suo mandato, per consegnarle poi al suo successore e quando, nell'agosto del 1642, il podestà riconsegna alla comunità di San Leo il registro in cui ha annotato la revisione fatta agli ufficiali dell'Abbondanza, per delibera consiliare lo rimette nelle mani del sindico che lo custodirà per tutto il tempo del suo mandato.
L'attività di esazione del sindico, condotta sui proventi dei beni e servizi della comunità, cessa col 1672; infatti, per deliberazione del consiglio generale del 1 gennaio 1673, la riscossione degli affitti, dazi e appalti passa in mano del coltore o esattore generale.
La raccolta delle tasse, indicate col termine coevo di "colte", semestralmente imposte alle persone iscritte ad estimo, era demandata ad un esattore, eletto in consiglio generale, detto per trasposizione coltore. Le prime attestazioni rimaste relative alla sua elezione, testimoniano che la stessa era fatta nel corso della semestrale riunione dell'arengo generale.
La nomina era fatta per estrazione di un nome dalla relativa urna che, unitamente alle urne del magistrato, degli abbondanzieri, dei cancellieri, era conservata dal cancelliere della comunità. Come già per altre cariche, i nomi di coloro che potevano ricoprire tale ufficio erano sottoposti all'approvazione superiore prima di essere immessi nell'urna.
Secondo una nota dell'aprile 1595, il coltore rimaneva in carica un anno, mentre in una relazione inoltrata al vice legato nel dicembre 1635, è detto che i coltori impiegati annualmente erano due, uno per semestre. Aldilà di quelle che erano le normative, in realtà il coltore rimaneva in carica diversi anni come si evince dalle revisioni che venivano annualmente condotte sul suo operato in cui gli eventuali suoi debiti o crediti nei confronti della comunità venivano riportati nei conti dell'anno seguente.
La colta, semestralmente stabilita, veniva annotata in dei registri appositi che erano tenuti e sottoscritti dal notaio cancelliere. Da questi registri, lo stesso cancelliere ricopiava in un bastardello, che veniva consegnato al coltore, l'indicazione dei contribuenti e la somma dovuta da ciascuno di essi, per giungere al totale della colta stabilta in quel semestre.
Dalla somma in sua mano, pervenutagli attraverso l'esazione dell'imposta, il coltore era chiamato ad onorare i mandati di pagamento direttigli dall'esecutivo. Le somme che così uscivano di sua mano, gli erano poi conteggiate a credito nella revisione annuale.
Per deliberazione consiliare del 1 gennaio 1673, la riscossione degli affitti dei beni immobili di proprietà comunale, i dazi e gli appalti dei servizi comunali, precedentemente esatti dal sindico, passano in mano del coltore.
Con la fine del secolo XVII, il coltore assume nel suo ufficio quasi tutte le attività di introito ed esito della cassa comunitativa, precedentemente a carico di più figure istituzionali.
Sempre legata alla esazione delle tasse, è la figura del camerlengo, in realtà poco attestata dalla documentazione rimasta e pertanto di difficile definizione. Sembra tuttavia che si tratti di colui che doveva tenere i registri in cui erano stabilite semestralmente le colte e che in sua mano i coltori pagavano le colte riscosse. Nel febbraio del 1642 è dai suoi registri che viene cavata una lista di debiti dei coltori nei confronti della comunità. In ultima analisi quindi, nella pratica, la figura del camerlengo viene a coincidere con quella del notaio cancelliere che redigeva tali registri.

storia archivistica
Nel corso dei lavori di schedatura e riordino, sono emerse le tracce di un intervento ottocentesco che, fra le altre cose, aveva dotato molte unità di camicia o di nuovo dorso utilizzando allo scopo carte strappate da registri di leva del periodo napoleonico. Le segnature che erano presenti su tali camicie o dorsi sono state riportate nella schedatura del pezzo relativo e, là dove possibile, sono state recuperate tali carte con l'intento di restaurarle e ricostituire gli originari registri di leva.
Sempre a seguito dei lavori archivistici condotti, si è potuto rilevare che l'attuale consistenza della documentazione di Antico Regime dell'archivio storico comunale di San Leo e di alcuni archivi ad esso aggregati è pressoché la stessa di quella rilevata in un inventario databile alla prima metà del sec. XVIII, registrato in un libro mastro dell'archivio pubblico. Tale scoperta permette di poter affermare che lo scarto abusivo perpetrato nel 1948, che ha notevolmente depauperato l'archivio storico comunale, non ha interessato la documentazione comunale più antica, le cui dispersioni risultano pertanto avvenute già in epoca storica.
Diversa considerazione va invece fatta sulla documentazione giudiziaria prodotta in San Leo nel periodo di Antico Regime, che ad una indagine condotta negli anni 1875-78, risultava conservata presso la Pretura di San Leo, per una consistenza totale di 1423 unità fra registri e buste. Più precisamente, tale rilevazione annotava una consistenza di 650 pezzi per gli atti civili, 423 per quelli penali e 350 unità di atti amministrativi e carteggio anteriore al 1859. Gli atti giudiziari di cui si rilevavano consistenza ed estremi cronologici erano quelli prodotti dal tribunale di prima istanza del podestà/pretore di San Leo e, verosimilmente, quelli prodotti nel tribunale d'appello del commissario del Montefeltro, giacché fonti storiche degli ultimi anni del sec. XVIII ci informano che le due cancellerie erano state unite nello stesso luogo. Per ciò che concerne invece gli atti amministrativi ed il carteggio datato a precedere il 1859, si trattava sicuramente non di carteggio amministrativo comunale, ma di quello del vice governatore dal 1818, poi governatore dal 1828 sino all'annessione delle Marche al Regno d'Italia.
Tale documentazione, nel seguire le sorti della Pretura di San Leo, che nel 1926 fu trasferita in Novafeltria, è andata irrimediabilmente perduta.

stato di conservazione discreto


strumenti di ricerca
Sonia Ferri (a cura di), Archivio Storico del Comune di San Leo. Prenapoleonico (1509-1808) ed Aggregati (1476-1862). Inventario, 1999


codice interno: 485 - 001.001