Per amministrazione delle valli comunali di Comacchio non si intendeva un'azienda legalmente costituita, ma l'insieme della gestione del sistema vallivo da parte dapprima della Reverenda Camera Apostolica, poi del Ministero delle Finanze del neonato Regno italiano e infine del Comune di Comacchio. Bisognerà attendere il 1953 per la costituzione dell'Azienda Municipalizzata Valli di Comacchio.
espandichiudi
L'archivio è costituito dalla documentazione prodotta e raccolta dall'ente comunale durante l'espletamento delle sue funzioni in tre ambiti fondamentali della gestione della pesca delle anguille: la "coltura dei campi" (cioe' gestione delle valli) e la pesca; la vigilanza contro la pesca di frodo; l'amministrazione interna e la commercializzazione del prodotto. Le serie presenti rispecchiano la struttura dell'Amministrazione che, definita da diversi regolamenti approvati dal Consiglio comunale, rimane pressochè invariata negli anni di attività. Nell'archivio è presente anche la documentazione afferente al periodo precedente il 1868, anno in cui le valli sono definitivamente restituite al Comune: in particolare una raccolta residuale di documenti era stata individuata già nell'intervento di riordino conclusosi nel 1988; un'altra parte, con documenti anche più risalenti, è stata rintracciata durante le operazioni di riordino e inventariazione dell'Archivio storico del Comune
criteri di ordinamento "L' archivio dell'Azienda Valli, gia' danneggiato dagli eventi bellici, e' stato smembrato nel corso di successivi trasferimenti e prima dell'intervento di riordino si presentava in uno stato di completo e totale disordine. Il riordino ha cercato di ricostruire, nei limiti del possibile, la struttura originaria dell'archivio, che fino agli '20 del nostro secolo era organizzato in modo abbastanza organico sulla base di due titolari: uno relativo alla sorveglianza e gestione delle valli, riferito alle funzioni del Sorvegliante delle Valli poi dell'Ufficio Intendenza, l'altro relativo alla gestione amministrativa generale dell'Azienda (ora costituente la serie denominata "Archivio Generale"). Successivamente, in particolare a partire dal 1934, anno in cui cessa il titolario amministrativo generale, le carte venivano conservate dai singoli uffici che svolgevano le diverse funzioni dell'Azienda. Oltre a quella dell'Ufficio Intendenza si individuano cosi' le serie relative ai seguenti uffici: - Ufficio Segreteria, che conserva gli atti generali dell'amministrazione; - Comando Guardie, che conserva la documentazione relativa alla vigilanza e repressione della pesca di frodo; - Ufficio tecnico; - Ufficio commerciale; - Ufficio bollette, poi denominato Ufficio Mercato, che conserva i dati sulla pesca (Bollettini e registri di pesca); - Fabbrica marinati; - Ufficio magazzino; - Ufficio servizi generali, che compare solo con il Regolamento del 1955 e che cura la manutenzione dell' attrezzature dell'azienda; - Ufficio paghe (o Personale), che compare anch'esso solo con il Regolamento del 1955; - Ufficio Ragioneria. A queste si aggiungono le serie dei documenti contabili (registri, reversali d'incasso e mandati di pagamento), quella delle delibere del Commissario Prefettizio, poi della Commissione Amministratrice ed una di miscellanea, che raccoglie la documentazione residuale che non ha trovato collocazione nelle altre serie, in particolare regolamenti e contratti e carte relative alla Direzione"
Inventario dell'Archivio dell'Azienda Valli comunali di Comacchio, a cura di G. Bezzi e D. Mancini, 1988, p. 7
informazioni sul contesto di produzione Le vicende storico-istituzionali delle valli di Comacchio non possono essere disgiunte dal contesto politico-istituzionale che ha caratterizzato la storia della città. Comacchio, che oggi appare come un centro periferico, dal geografo Edrisi[1], nel XII secolo, era descritta come “una città grande e ben difesa, posta sulla marina […] illustre e popolata ove stanzia gran numero di navi” e che “la popolazione è temuta e rispettata dai vicini”, dai quali doveva guardarsi: dai ravennati che la consideravano come un’appendice del proprio territorio e dai ferraresi e veneziani che mirano al possesso delle sue saline e lagune, ricche di pregiati pesci, fra cui le anguille, e al suo porto. Comacchio a seguito, come afferma Guido Guaresi[2], “dell’invadenza marciana, cercò alleanze a Ravenna e a Ferrara, optando nel 1325 per una capitolazione, sancita dalla Dedizione al marchesato estense”. Prima del Patto di Dedizione non vi sono indizi storici che facciano ritenere che le valli comacchiesi non fossero godute direttamente da parte della popolazione[3]. Gli statuti comunali, che regolavano la vita cittadina, prevedevano che la vigilanza sulle valli spettasse agli Officiali sopra le valli, acque e canali del comune; tali officiali erano estratti a sorte ogni anno il giorno di Santo Stefano, in particolare erano estratti a sorte due consiglieri con il compito di occuparsi nella pulizia della città e delle opere di manutenzione di canali e strade, a cui era aggiunto un terzo consigliere e insieme dovevano vigilare sulla gestione delle valli e rendicontare del loro operato al comune. A partire dal Patto di Dedizione i benefici derivanti dallo sfruttamento delle valli, ossia dalla pesca e vendita delle anguille, passarono alla Camera Ducale Estense. La Dedizione del 1325 trasferì ai marchesi d’Este e ai loro successori la città di Comacchio con il suo territorio in terris, acquis, vallibus, paludibus e sue adiacenze, in altri termini mentre gli imperatori avevano conferito ai piscatores comaclenses il godimento collettivo della pesca nelle valli, con il Patto di Dedizione gli Estensi fecero proprie le valli in modo esclusivo e furono pertanto soppressi i diritti di caccia, uccellagione, pesca e pascolo. Del possesso di Comacchio gli Este furono successivamente investiti con diploma imperiale di Carlo IV del 7 novembre 1354 che di fatto delegittimava i precedenti diplomi imperiali e confermava l’alienazione dei diritti acquisiti con gli antichi previlegi[4]. Dal punto di vista normativo la gestione delle valli era regolata da grida, bandi e dagli “Ordini vecchi delle valli” del 1514, aventi un carattere tecnico organizzativo e, sempre del 1514, dagli “Ordini e statuti per il governo delle valli", di precipuo carattere giuridico. Altre norme erano contenute nei capitolati e contratti di affitto che venivano stipulati per gruppi o singole valli. Fino ai primi del Cinquecento la Camera Ducale Estense fu impegnata direttamente nella gestione delle Valli di Comacchio preferendo, di norma, la stipula di contratti di lunga durata con i conduttori delle valli che corrispondevano alla Camera Ducale un affitto. I conduttori delle valli a loro volta subaffittavano le valli, costituite da circa 30 bacini di pesca separati da argini naturali o artificiali (palificate con paratie di arelle di vimini o di canna). I subaffittuari erano detti paroni, che agivano consorziandosi in squadre di una dozzina di elementi, perlopiù uniti da vincoli parentali. Un gruppo di paroni era di solito costituito da due o tre capifamiglia e da diversi parenti affini detti famigli. Da parte dei paroni l’affitto era pagato in parte in denaro e in parte in prodotti e il valore era scalato dal debito iniziale dell’affitto. Il tutto avveniva sotto il controllo del Superiore alle valli[5], un funzionario della Camera Ducale che sovrintendeva ai processi produttivi nel loro complesso[6]. La Camera Ducale seguiva le operazioni di gestione delle valli tramite l’Ufficio sopra le valli di Comacchio, retto dal superiore alle valli, detto anche governatore alle valli, coadiuvato da un uffiziale ai conti delle valli, un ufficiale al sale e due computisti. L’ufficio camerale aveva alle proprie dipendenze di circa 40 birri, il cui numero è molto variato nel corso degli anni, che controllavano nel periodo autunnale e invernale la pesca delle anguille e nel periodo primaverile ed estivo l’estrazione del sale. In Comacchio oltre all’attività di pesca, che si estendeva su una superficie di oltre 45.000 ettari, si svolgeva un’attività, che si potrebbe definire proto-industriale che prevedeva la salatura, l’essicazione, l’affumicazione e la vendita delle diverse specie ittiche presenti nelle valli, impegnando oltre 500 lavoratori. La produzione dei marinati era diversificata e le anguille erano caratterizzate da nomi diversi a seconda del loro peso[7]. A partire dagli anni ’10 del Cinquecento, a seguito delle distruzioni effettuate dalle truppe veneziane durante il periodo dell’occupazione di Comacchio (1508-1511) e a seguito delle maggior necessità finanziarie della Camera Ducale, questa esercitò direttamente l’esercizio della pesca, eliminando i contratti di affitto o associandosi agli affittuari e limitando il potere di gestione delle valli dei paroni, che diventarono nel corso dei decenni associati alla Camera Ducale nella gestione (ossia paroni liberi, cioè facenti parte della Compagnia della Camera) o semplici lavoratori. Uno sfruttamento intensivo, che comprendeva la pesca delle anguille di piccole dimensioni, delle valli nella prima metà del Cinquecento ad opera della Camera Ducale portò ad una grave crisi della pesca e delle condizioni economiche del gran numero di addetti alla pesca e manifattura del pesce e la Devoluzione di Ferrara alla Santa Sede, dopo la morte di Alfonso II nel 1597, privo di eredi diretti, non fu occasione di dispiacere per i comacchiesi. Clemente VIII nel corso della sua visita alla Legazione di Ferrara appena recuperata a un dominio diretto, tramite la creazione di una legazione retta da un cardinale legato, visitò Comacchio e con motu proprio del 18 luglio 1598 concesse, in soccorso alla povertà gravante sulla città di Comacchio, l’uso perpetuo ai comacchiesi delle valli Pedica, Thia, Donnabona e Campo, per una libra di cera l’anno come canone ricognitorio, con l’obbligo della decima in favore per metà del vescovo e per metà del capitolo della cattedrale. Il passaggio dallo Stato estense allo Stato pontificio non mutò la gestione delle valli: nel 1598 si procedette all’affitto delle valli per un quinquennio, poi rinnovata fino al 1607. Papa Paolo V nel 1607 con motu proprio dispose che le valli fossero affittate a comacchiesi, ma l’affittanza novennale del periodo 1617-1626 fu affidata alla ferrarese Bulgarelli, che però non pagò la cauzione dovuta e l’affitto ritornò a conduttori comacchiesi. Successivamente le valli furono affittate fino al 1626 al romano Giorgio Costaguti, con l’obbligo di subaffittare le valli a famiglie comacchiesi. Ritiratosi il Costaguti le valli furono affidate ad una compagnia comacchiese guidata da G. B. Gasparini per nove anni (1636-1645). Nel 1642, due anni prima della fine del contratto le valli furono affittate a Francesco Rimbaldesi, ferrarese, con decorrenza dal 1645 fino al 1654, ma il contratto del Rimbaldesi fu annullato per l’intervento del cardinale legato Pallotta, con chirografo 8 febbraio 1645 di papa Innocenzo X. L’affitto fu riaffidato a G. B. Gasparini, che agiva congiuntamente a J. Tomasi. In seguito ad eventi calamitosi il contratto fu risolto e ritornò in scena come affittuario, dal 1648 al 1656, Francesco Rimbaldesi. Dal 1656 al 1667 le valli furono affittate ai fiorentini Camillo Carnesecchi e Giulio Vacca, contratto poi prorogato fino al 1676. Dal 1677 al 1685 le valli furono prese in affitto da Cesare Cinti, in unione con altri 12 conterranei comacchiesi; dal 1686 al 1694 furono conduttori delle valli Francesco Salvaterra e compagni; nel 1694 l’appalto fu concesso a Nicolò Tomasi e altri undici compagni comacchiesi fino al 1703, con il compito di ripartire le valli in 144 poste (subaffitti), di cui 48 gestite direttamente dai conduttori e le altre affittate a cittadini comacchiese. Un contratto con le stesse caratteristiche fu rinnovato dal 1703 al 1712 a Giuliano Cinti e fratelli associati, ma nel 1708 Comacchio fu occupata, fino 1725, dagli Asburgo che ne chiedevano il possesso per conto del duca di Modena. Dal 1710 al 1717 la comunità di Comacchio condusse direttamente le valli e fu istituita in Comacchio la Compagnia della Camera imperiale di Comacchio, detta localmente Società dei Mercanti, ideata dal generale Bonneval, comandante delle truppe di occupazione, istituita con atto notarile del 23 aprile 1709, allo scopo di far vendere il pesce proveniente non soltanto dalle valli momentaneamente imperiali, comunitative e private, ma anche quello di mare, per cui era prevista la costruzione di una flottiglia di pescherecci. La Compagnia aveva il compito di raccogliere il pesce pescato e di smerciarlo in luoghi vicini e lontani, ma il progetto venne a decadere in ragione delle oggettive difficoltà di attuazione. Per il novennio 1715-1723 le valli furono affittate a Michele Cavalieri. Durante il periodo imperiale le valli, già poco appetibili economicamente, subirono un tracollo e la nuova locazione fu affidata a Romualdo Cinti, Amadore Tomasi e Michele Cavalieri per il quinquennio 1725-1730; dal 1735 al 1740 le valli furono affidate al solo Amadore Tomasi; al Tomasi subentrò l’avv. Alessandro Alessandri per il quinquennio 1739-1743, poi dal 1744 al 1748 le valli furono assegnate a Giovanni Carli. Nel 1749 l’affitto delle valli fu affidato a Carlo Ambrogio Lepri fino al 1757, che ottenne una proroga fino al 1762, poi rinnovata fino l 1772. L’appalto a Carlo Ambrogio Lepri portò ad un sostanziale cambiamento della conduzione delle valli: soppressione delle poste ai subconduttori; proibizione di pesca nei canali Pallotta, Terzone, Rillo, Foce, Coca, Fosecchie, Menate e Bellocchio; incameramento delle valli non afferenti all’appalto e dalla Camera a lui locate, con l’eliminazione dal mercato di potenziali concorrenti; proibizione di raccogliere il pesce morto. Nel 1772 a Carlo Ambrogio Lepri subentrò Andrea Lettimi fino al 1780, poi dal 1781 al 1789 subentrarono Giuseppe Lepri, figlio di Carlo Ambrogio, e Antonio Gnudi. Il successivo appalto novennale (1790-1798) fu affidato a Giovan Battista Massari e a Giuseppe e Prospero Carli. Le armate francesi scese in Italia nel 1796 costrinsero lo Stato pontificio al Trattato di Tolentino del 19 febbraio 1797, in conseguenza del quale la Santa Sede perse le legazioni di Ferrara, Bologna e Romagna e cedette alla Repubblica francese i beni allodiali in esse posseduti: tra questi le Valli di Comacchio. Pochi giorni dopo il Trattato di Tolentino una commissione comacchiese incontrò Napoleone Bonaparte a cui chiese il ripristino di Comacchio nei propri diritti; la richiesta portò al rogito Giletti dell’11 luglio 1797, mediante il quale la Repubblica “cede, rilascia, ritorna vende e dà liberamente alla città e popolo di Comacchio … tutte e singole le valli e pesche di Comacchio e sue adiacenze, quali e quante si comprendono nell’affitto fatto dalla Camera di Roma ai consoci Massari e Carli e da loro attualmente condotte, niente eccettuato”, al prezzo di 1.000.000 di lire tornesi d’oro oltre ad un canone annuo di lire 20.000. Il nuovo esercizio delle valli passò alla Commissione amministrativa delle Valli di Comacchio appositamente istituita il 14 settembre 1797. La Commissione amministrativa delle Valli di Comacchio assunse la gestione delle valli per 16 anni e per 7 anni le valli di pertinenza del comune di Comacchio (Pedica, Thia, Donnabona e Campo). Detta commissione si trovò nella situazione di dover ricorrere al prestito per onorare il debito contratto con la Repubblica Francese, previsto dal rogito Giletti, e per procurarsi il capitale circolante per la gestione delle valli. Fu costituita una Società degli azionisti che emise 400 azioni del valore di 400 scudi ognuna che realizzò un capitale di 160.000 scudi, utili per l’avvio delle operazioni di gestione delle valli e per il pagamento dilazionato in rate del debito di 1.000.000. Nel rogito Giletti dell’11 luglio 1797 convivevano elementi di compravendita e di restituzione, per cui in ordine alla titolarità delle Valli di Comacchio è necessario ricordare che per Valli di Comacchio si intendevano: - le valli camerali di derivazione estense, in cui erano comprese le valli che nel 1463 gli Este affittarono dalla comunità di Lagosanto, ossia le grandi valli Isola, Ponti e Trebba, poi passate nel 1598 alla Reverenda Camera Apostolica di Roma - le valli incamerate, provenienti da privati o da enti ed incamerate dallo Stato ecclesiastico dal 1755 al 1790[8] - le valli comunitative,[9] prima di diritto comunitativo, poi Estense, e passate nel 1598 al comune di Comacchio da Clemente VIII - le valli di uso civico[10], residuo dell’universale diritto collettivo originariamente esercitato dalla popolazione comacchiese La Commissione amministrativa delle valli di Comacchio fu sciolta in forza della legge 24 luglio 1802 e le sue funzioni furono affidate al Consiglio e alla Municipalità comacchiese. Dopo la rotta di Lipsia (16-19 ottobre 1813), reparti austriaci e inglesi sbarcarono a Goro e Magnavacca (oggi Porto Garibaldi) e occuparono Comacchio. Il generale Nugent, assunti i poteri nel Basso Po, con l’intento di ingraziarsi l’animo dei comacchiesi prescrisse il provvisorio affidamento, piuttosto indefinito, delle valli al popolo comacchiese; il comune, in quanto rappresentante del popolo comacchiese, decise di amministrare in proprio le valli attraverso due commissioni: una per le valli comunali ed una per le valli del popolo, presuntivamente quelle comunitative e quelle ad uso civico. La difficoltà a gestire in proprio il territorio vallivo, tra l’altro con due diverse commissioni, portò all’affittanza delle valli per un triennio, scadente nel 1817, ad una Società anonima di azionisti, per la maggior parte estranei a Comacchio. Una Società anonima di comacchiesi e forestieri, assunse la gestione delle valli per il quinquennio 1819-1823, poi prorogata fino al 1826, pagando al comune la corrisposta annua di 36.00 scudi. La Società il 1 gennaio 1827 dichiarò il proprio fallimento. Il comune, trovandosi impotente davanti ad una situazione complessa ed onerosa per il comune stesso chiese aiuto a papa Leone XII che, con rescritto 1 febbraio 1827, ordinò alla Camera Apostolica di assumere l’Amministrazione provvisoria delle valli che avvenne mediante verbale notarile del 13 febbraio 1827, ribadendo la temporaneità di tale gestione. La Camera Apostolica tenne l’amministrazione provvisoria per 33 anni, dapprima in gestione cointeressata (con il marchese Rizzardi di Bologna che dal 1827 al 1829 riservò alla Camera una compartecipazione del 10% e poi i conti Massari di Ferrara, 1830-1832 alle stesse condizioni), successivamente in gestione governativa (tramite gli affittuari della Noce, Badini, Fiore Niccoli negli anni 1833-1841) e negli anni 1842-1853 tramite appalto al principe Torlonia di Roma, poi ancora governativa fino al 1859. Durante questi anni, dal 1827 al 1859, la Reverenda Camera corrispose al comune di Comacchio circa 30.000 scudi annui Dopo l’Unità lo Stato italiano condusse le Valli di Comacchio per un decennio, tramite il Ministero delle Finanze, imponendo l’osservanza della legge Galli[11], emanata dal ministro pontificio delle finanze Angelo Galli del 13 settembre 1854, che regolava la pesca nelle Valli di Comacchio. In base alla legge del 7 luglio 1868 lo Stato italiano retrocesse l’amministrazione delle valli al comune di Comacchio, che continuarono ad essere governate con le norme stabilite la legge Galli del 1854. Il comune di Comacchio per la gestione del sistema vallivo non istituì una specifica azienda legalmente costituita, come del resto avevano fatto prima la Reverenda Camera Apostolica e poi il Ministero delle Finanze, ma si limitò a chiamare Azienda Valli di Comacchio, il complesso vallivo e manifatturiero che riguardava le Valli di Comacchio. I primi tre anni di gestione delle valli furono a conduzione diretta, affrontati con pesanti difficoltà, a cui seguirono affittanze, alternate a conduzioni comunali. L’affitto Cavalieri-Friedländer ebbe luogo negli anni 1871-1874, cui seguì l’affittanza Bergamini, Zamorani, Sinigallia e C. (1875-1883) e poi quella di Luigi Bellini (1884-1894), industriale comacchiese di vasta esperienza nella conduzione dello stabilimento e della marinatura maturata come collaboratore e socio dei Cavalieri-Friedländer e dei Bergamini. Le valli erano giunte una decadenza tale da far ritenere che fosse esaurita ogni potenzialità produttiva e la bonifica[12] parve essere la soluzione contro il degrado delle valli, ebbe tuttavia inizio una nuova conduzione economica comunale, sostituita poi da contratti di cointeressenza con i privati (Finzi 1896-1903; Cornia 1904-1911; Parodi 1912-1919). Nel corso delle operazioni di bonifica la gestione delle valli rimase in capo al comune, nell’ Azienda Valli di Comacchio, fino alla costituzione nel 1953 della Azienda Municipalizzata Valli di Comacchio[13], che rimase in vita fino alla costituzione della SIVALCO nel 1973. Con la costituzione delle regioni fu istituita, in data 12 luglio 1973, la Società Itticoltura Valli di Comacchio – SIVALCO SpA - a norma della legge regionale 25 febbraio 1973 n. 13, in attuazione del progetto generale di massima per le opere e gli impianti necessari per assicurare il razionale sviluppo della itticoltura nelle residue valli di Comacchio. La SIVALCO, che era partecipata al 90% dalla Regione Emilia-Romagna e al 10% dal Comune di Comacchio, il 31 luglio 1992 fu posta in liquidazione e fu prevista la creazione di un’Agenzia costituita dalla provincia di Ferrara e dal Comune di Comacchio per la valorizzazione delle residue valli e la creazione di una società privata per la gestione di valle Campo e degli stabilimenti itticoli. Dal 1992 al 2003 seguì una gestione promiscua, tramite il Consorzio Azienda Speciale Valli di Comacchio, che risulta al momento non ben definita, che porta a ritenere che le valli fossero precipuamente gestite dal comune di Comacchio, tenuto conto che fu il comune in data 23 luglio 2003 a cedere il ramo d’azienda Azienda Valli di Comacchio al Consorzio del Parco del Delta del Po. Ad oggi le residue Valli di Comacchio, circa 9.000 ettari, sono gestite dal Parco Regionale del Delta del Po dell’Emilia Romagna, unitamente alle valli di Argenta e del ravennate
NOTE [1] Amari M. e Schiapparelli C., L’Italia descritta nel “Libro di re Ruggero” compilato da Edrisi, in "Reale Accademia dei Lincei, Atti", CCLXXIV (1876-1877) serie II, vol. VIII, Roma, 1883, pp. 81 e 136 [2] Guaresi G., La colonia sotto casa. Lo sfruttamento estense delle risorse di Comacchio. XV-XVI secolo, Torino, 1908, p. 14 [3] Bellini L., La legislazione delle valli di Comacchio nella sua genesi storica nelle fonti e nell’applicazione, Milano, 1966, p. 16 [4] Federico I nel 1177 riconosceva come valli di privata ragione dei comacchiesi le valli Agosta, Fossa di Porto, Caldirolo, Longola, Sorbara, Gurone; previlegio poi confermato nel 1231 da Federico II. Nel 1463 gli Este affittarono dalla comunità di Lagosanto le grandi valli Isola, Ponti e Trebba che, a seguito della Devoluzione del 1598, furono accorpate dalla Reverenda Camera Apostolica alle Valli di Comacchio; nonostante le secolari controversie la comunità di Lagosanto non ritornò più in possesso delle proprie valli, che le erano state concesse dal monastero di Santa Maria di Pomposa con un’investitura del 1254. [5] Stando a Bellini Luigi, La legislazione speciale delle valli di Comacchio, Milano 1966, pp. 46-57, al Superiore alle valli “faceva capo tutto intero il funzionamento aziendale e da lui tutti dipendevano: affittuari, subaffittuari, fattori, forze di polizia valliva. Egli nella sfera della sua giurisdizione esplicava, quasi un vicario del duca, ogni potere: da quello di emanare norme cogenti, a quello d’istruire processi e pronunciare sentenze, previa consultazione, a seconda dei casi, del podestà o di una commissione disciplinare: ciò in materia penale, mentre le controversie civili contro i conduttori delle valli erano state sottratte alla cognizione dei tribunali ordinari e deferite alla sua esclusiva competenza. Talvolta emetteva anche grida fuori dalle materie vallive. La sua nomina veniva fatta, d’ordine del duca, dai fattori generali [i ministri che presiedevano l’amministrazione delle entrate e delle spese dello Stato estense] … A loro volta i Superiori alle valli nominavano il personale di valle tecnico e di polizia, i cui stipendi e salari venivano pagati dai conduttori”. [6] Per sovrintendere ad sistema così complesso per ogni valle erano predisposti dei registri, intestati al gruppo di paroni o al singolo subaffittuario parone in cui figuravano tutte le poste in dare (canone di locazione, i lavori di miglioria, eventuali penalità) ed avere (somme incassate per la vendita dei pesci consegnati alla Camera o agli affittuari delle valli subaffittate). [7] Le anguille erano così distinte: capitoni, anguille femmine del peso di circa 3 kilogrammi; - seconde, di peso variabile da 1.7 a 2.5 kilogrammi; terze, di peso variabile da 1 a 1.7 kilogrammi; quarte o ceriole o scavezadure o bescavizzi, di peso di circa 3.5 hg; rosse e persutti, che ricevevano il nome dal particolare colore del ventre; buratelli o cieche, le più piccole. Le anguille potevano essere vendute vive o imbottate con diversi metodi di imbottamento e in contenitori di diversa capienza (botti, barili). Le anguille vive erano trasportate nei principali mercati italiani tramite apposite imbarcazioni dette marotte. Nelle Valli di Comacchio erano pescati anche atri pesci pregiati: orate, spigole, cefali, crostacei e pesci d’acqua dolce (lucci, tinche e carpioni), ognuno con i propri tempi di pesca e trattamento per consentire una più lunga conservazione per la successiva vendita. [8] Le valli incamerate erano: - con rogito G. Castellani dell’8 luglio 1755, in forza del chirografo 2 luglio 1755 di Benedetto XIV, le valli Rivà, Prione, Boina, Boccacava, Specchio, Pertica, Arginino, Uriola e Bruciate, del comune di Ostellat; Bersana di G. Mascaroni; Calancole da terra del conte Tassoni; Calancole da fuori e Sacca della famiglia Betti; Borsa e Brello dei conti Zappateraa; Mondonovo della famiglia Buonafede, Tosellino, Zementara, Comuna e Pisana del conte Fiaschi; Gigliola, Suora e Boccaccio della contessa Tassoni; Testa, Pastra, Pisana Buzza e Comuna della famiglia Tomasi per complessivamente 26 valli - con rogiti di A. Dotti del 13 ottobre 1773 e del 26 giugno e 21 agosto 1775, in forza del chirografo 12 ottobre 1769, e valli Bocchette e Rosolo della famiglia Zanoli; Boccagrande della famiglia Tigrini Farina; Rizza della famiglia Tigrini Orefici; Cuora della famiglia Soragni Coatti; Albertina di Venturini e altri possessori; Fratina dell’abbazia di Santa Maria in Porto; Traversone della famiglia Cavalieri Carli; Bassa dei Mazzoli ed altri; Squarzona della famiglia Carli, per complessive 10 valli - con rogito Sogliani del 17 dicembre 1789, in forza del chirografo 21 aprile 1789, le valli Gallare, Prove e Rai dei comuni di Lagosanto e Massafiscaglia; Sabbionchi, Mandura e Corno di Cervo del comune di Lagosanto. Con rogito Carli del 12 marzo 1790, sempre sulla base del chirografo 21 aprile 1789, le valli Raini della famiglia Tommasi; Poazzo della famiglia Benassi, per complessive 9 valli. In totale furono incamerate 45 valli per complessivi ettari 7.000 circa. [9] Le valli comunitative avevano una superficie complessiva di circa 4.000 ettari. [10] Le valli di uso civico erano: Scagna, Lamenterio, Sottolido, Uccelliera, Spavola, Montalbano, Canalazzo, Capre, Coccalino e Fattibello, 10 piccole valli della superficie di circa 480 ettari. [11] La legge Galli è la legge che regolò la vita nelle valli comacchiesi fino alle bonifiche della seconda metà del secolo scorso. La legge riconfermava le disposizioni contro i fiocinini, cioè contro coloro che praticavano la pesca abusivamente con la fiocina e prevedeva, oltre al sequestro delle fiocine e del pescato, il sequestro delle imbarcazioni usate dai fiocinatori, ammende e carcere; era consentita la pesca con la fiocina solo in casi particolare ossia per il consumo familiare per i laghesi e comacchiesi poveri, con il divieto assoluto di commerciare il pescato. Era proibito costruire e vendere fiocine, che se sequestrate erano fuse ed era inoltre proibito tenere in casa fiocine. Per le barche sequestrate era prevista la demolizione. I fiocinini più poveri, quelli che non possedevano nemmeno una barca per recarsi nelle valli per la pesca di frodo, erano detti guazzaroli in quanto pescavano gettando nell’acqua la fiocina e restavano nell’acqua in attesa che l’anguilla rimanesse impigliata nel ferro. Per i poveri la legge Galli consentiva la pesca delle mani dei poveri, così detta per l’organizzazione in compagnie, le mani. Un’antica usanza che consisteva nella concessione di collocare nei “canali ad acqua calante reti e cogolli (rete da pesca fissa a forma di sacco circolare, tenuto aperto da anelli di legno, dal quale il pesce, una volta entrato, non può uscire) dal San Michele (29 settembre) d’ogni anno, all’apertura delle montate (la risalita del pesce minuto dal mare alla valle), e non oltre il 2 febbraio, al fine di catturare il pesce fuggito dai lavorieri. Una “spigolatura” che concedeva di racimolare ridotti quantitativi di pesce, un aiuto ai pescatori ma anche un vantaggio per il conduttore delle valli, al quale le anguille e le acquadelle pescate dovevano essere vendute a un prezzo stabilito. Un aiuto ben controllato: i conduttori dello stabilimento verificavano periodicamente la tenuta del lavoriero controllando la quantità di pesce che affluiva alla mano (il luogo ove si svolgeva la pesca). Se la quantità appariva eccessiva, avevano il diritto di porre un loro cogollo per 24 o 48 ore” (cfr. ISCO.FE. Economia di valle). [12] La prima bonificazione fu quella di Valle Gallare, di ettari 3.730, nel 1883, cui seguirono quelle delle valli: Trebba e Ponti, di ettari 4.500 nel 1922; Raibosola e Posta, di ettari 200 nel 1923: Mantello, di ettari 6750 ,nel 1925; Isola e valli minori di ettari 4.306 nel 1933; Basse di San Giuseppe di ettari 1.541 nel 1949; Pega, Rillo e Zavalea, di ettari 2.923 nel 1951 e Mezzano di ettari 17.500 nel 1953. [13] Con funzioni direttive affidate ad una Commissione amministratrice.
storia archivistica Le carte relative all'amministrazione delle valli di Comacchio hanno condiviso con quelle dell'archivio storico del Comune momenti di trasferimenti, dispersioni e rimaneggiamenti. L'intervento più significativo, dal punto di vista dell'inventariazione, si situa nel 1988, quando fu realizzato l'Inventario dell'Archivio dell'Azienda Valli di Comacchio, a cura di Gabriele Bezzi e Donata Mancini (CRECS): nell'ambito del complessivo intervento di riordino e inventariazione degli archivi comacchiesi conservati a Palazzo Bellini tale inventario è stato rivisto, integrato e informatizzato. Sono stati così inseriti nel presente inventario alcuni fascicoli reperiti nel cosiddetto "Fondo Antico" dell'Archivio del Comune di Comacchio e in ciascuna scheda descrittiva delle singole unità archivistiche è stato inserito il riferimento alla segnatura che il pezzo aveva nell'Inventario del 1988
strumenti di ricerca Gabriele Bezzi, Donata Mancini (CRECS - Cooperativa di ricerca e consulenza storica), Inventario dell'archivio dell'Azienda Valli comunali di Comacchio, 1988. [Dattiloscritto, pp. 500]
unità di descrizione separate Dal 1868, data della retrocessione, le valli di Comacchio furono gestite direttamente dal comune comacchiese, in diversi periodi con il sistema della gestione diretta, in altri tramite il sitema dell'affitto o della gestione in cointereressenza. Per tale ragione le delibere che riguardano la gestione delle valli, in tutti i periodi predetti, sono parte delle delibere consiliari e di giunta del Comune di Comacchio. L'amministrazione delle valli di Comacchio costituiva gran parte dell'attività amministrativa del comune che regolava con proprie delibere affitti, regolamenti per il personale e la gestione tecnica delle valli, gestione del personale (dalle guardie vallive al direttore tecnico), vendita del pescato e tutto ciò che riguardava nel suo complesso il sistema vallivo comacchiese. Si veda pertanto anche l'inventario dell'Archivio storico del Comune di Comacchio
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codice interno: 1421 - 001
informazioni redazionali
Revisione e informatizzazione dell'Inventario dell'archivio dell'Azienda Valli comunali di Comacchio (a cura di Gabriele Bezzi e Donata Mancini, CRECS), 1988, a cura di Valentina Andreotti, Patrizia Luciani, Nicola Schincaglia (Le Pagine), 2023
realizzate per Regione Emilia-Romagna [L.R. 18/2000. Piano bibliotecario 2016. Intervento diretto]
intervento redazionale a cura di Regione Emilia-Romagna - Settore Patrimonio culturale. Area Biblioteche e archivi, 2023