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  Periodo medievale 1084 - 1504
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con antecedenti dal 1033
subfondo
unità documentarie 1336, registri 21, quaderni 19, fascicoli 16, vacchette 10, volumi 6, filze 5, codice 1
sei in: Archivio storico del Comune di Imola 1084 - 1969

Documentazione prodotta dalle magistrature cittadine di Imola, dalla prima attestazione di una forma di autonoma determinazione della cittadinanza imolese nel governo della città, testimoniata dalle concessioni fatte dal vescovo nell'anno 1084 alla Comunità, fino alla diretta soggezione della città allo Stato pontificio, sancita dalla "Bolla d'Oro", emanata da Papa Giulio II il 4 novembre 1504.
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La documentazione di questo periodo è costituita dalla produzione normativa del Comune di Imola (provvigioni, costituzioni e frammento degli statuti, copie degli statuti del contado, Riformagioni e minute dei verbali del consiglio generale), documentazione relativa a diritti e giurisdizioni (Libro Rosso), documentazione relativa all'esazione dei dazi, documentazione prodotta dalle magistrature giudicanti, copialettere, minute di corrispondenza e missive indirizzate agli anziani, contratti di mutuo, fideiussioni, ricevute, attestazioni del pagamento della taglia per la provincia di Romagna.

criteri di ordinamento
Considerazioni preliminari
La descrizione analitica dei pezzi delle serie ASCI, Pergamene, Documenti storici ed amministrativi (serie denominata anche Documenti amministrativi), Documenti varii e Miscellanee - Atti di giurisdizione criminale ha permesso di identificare in tali miscellanee alcuni brandelli di serie originariamente prodotte dall’attività di specifiche magistrature.
La serie Pergamene costituisce il nucleo numericamente più cospicuo di quello che fu l’Archivio della Segreteria Magistrale della comunità di Imola, istituito nei primi decenni del Cinquecento, che conservava tutta la documentazione anteriore relativa ai diritti reali e giurisdizionali della comunità. Oltre alle singole pergamene che attestavano tali diritti, ai rotoli e ai fascicoli relativi alle controversie sostenute, trovavano posto nell’Archivio il duecentesco Liber iurium di Imola, il Libro rosso, probabilmente non rilegato e conservato in fascicoli sciolti, e gli Statuti trecenteschi insieme con i successivi Capitoli, l’insieme cioè delle fonti normative della città. 
Nell’Archivio storico comunale - come si evince dall’inventariazione analitica dei pezzi – non sono conservate le serie prodotte dalle diverse magistrature che in età comunale e signorile esercitarono la loro giurisdizione sulla città e sul suburbio. Non sappiamo quando avvenne la dispersione: si può immaginare che, con modalità analoghe a quelle accertate per altri comuni dell’Italia centro-settentrionale, già durante il Trecento la conservazione della documentazione attinente i diritti della comunità fosse stata organizzata in una sede diversa da quella in cui venivano depositate, alla fine di ogni mandato, le carte delle magistrature giusdicenti. Le serie create da tali depositi dovettero essere oggetto di uno scarto, non è dato di sapere quanto volontario, ma certo nei suoi esiti sistematico e completo.
Le trascrizioni del liber iurium e l’elenco dei documenti conservati nel 1239 da boni viri testimoniano l’esistenza, già allora, di un consistente nucleo documentario della cui importanza le autorità comunali erano perfettamente consapevoli, e che la compilazione del liber iurium non rese desuete: la realizzazione del registro non comportò infatti la distruzione degli originali che vi furono copiati, a tutt’oggi, in gran parte, conservati.
Le serie Documenti storici ed amministrativi (serie denominata anche Documenti amministrativi), Documenti varii, e Miscellanee - Atti di giurisdizione criminale, pur ridotte in quanto a consistenza rispetto a Pergamene, conservano però documenti simili nella tipologia e nei contenuti, facilmente integrabili con il nucleo di documentazione più consistente. 
La recente ricognizione della serie Bolle e brevi ha mostrato che nella prima busta di tale serie si trovano alcuni pezzi - e di ciò si è dato conto in sede di descrizione – che sono copie autentiche di originali conservati in Pergamene; altri invece sono documenti relativi a controversie giudiziarie ampiamente attestate in Pergamene (1). Ciò non stupisce perché Bolle e brevi fu costituita con la stessa documentazione, conservata fino alla fine del Settecento nell’Archivio della Segreteria magistrale (2).
L’analisi dell’insieme delle unità e delle loro vicende di conservazione ha evidenziato che l’attuale ordine miscellaneo non dipende da un ordinamento settecentesco, ma sia esito di una scelta precoce, di ordine politico-amministrativo, attuata quando ancora la documentazione rivestiva un’importanza nella pratica quotidiana della giurisdizione. 
Per quanto attiene invece alle serie Bim, Pergamene Galli, Pergamene di origine sconosciuta, Pergamene recuperate in seguito a restauri, Manoscritti imolesi, la descrizione analitica ha permesso di identificare solo pochi pezzi riconducibili a nuclei documentari della Segreteria Magistrale, diritti e oneri, statuti e capitoli. Per il resto i contenitori raccolgono e assemblano piccoli fondi privati, di diversa origine e provenienza.

Il riordino e l’inventario
Il riordino della documentazione, in considerazione di quanto sopra esposto, si è articolato in due fasi: si sono riunite in un unica struttura le carte fino a ora raccolte in serie diverse di ASCI (Statuti; Capitoli; Pergamene; Documenti storici ed amministrativi (serie denominata anche Documenti amministrativi; Documenti varii e Miscellanee - Atti di giurisdizione criminale) e i pochi pezzi sparsi dei fondi della Biblioteca comunale di Imola riconducibili all’archivio della Segreteria Magistrale, si sono ordinate le unità cronologicamente escludendo tutte le unità prodotte in data successiva al 1505.
L’operazione si è attuata solo “virtualmente”, ossia non è stato compiuto alcun intervento materiale sulle carte che conservano pertanto nel nuovo Inventario le segnature tradizionali. Ciò consente di non incontrare problemi per quanto attiene al reperimento materiale dei pezzi e, insieme, di conservare memoria dell’ordinamento attuale, dal punto di vista della storia dell’archivio certo non insignificante.
Per quanto attiene ai fondi della Biblioteca comunale, la descrizione analitica dei pezzi ha reso possibile soltanto identificare alcune unità appartenenti a fondi dell’Archivio storico comunale, che sono state inserite nella struttura delle serie dell’Archivio storico.
Il nuovo Inventario della documentazione del periodo medievale del comune di Imola riunisce dunque tutta la documentazione prima dispersa anche in serie miscellanee. 

La produzione normativa
All’inizio degli anni Trenta del secolo XX, la documentazione normativa conservata nell’Archivio storico del comune di Imola fu descritta nell’inventario Galli divisa in due serie, intitolate, rispettivamente Statuti e Capitoli.
La prima, Statuti, era composta da una sola unità, e cioè il “Libro originale degli statuti del comune di Imola”. 
La seconda, Capitoli, comprendeva cinque buste i cui titoli non furono segnalati in inventario. Sui dorsi delle buste però si possono leggere titoli diversi per ciascun contenitore, titoli che, allo stato attuale, non coincidono con i contenuti. I titoli sono:
1. Capitoli antichi degl’uffizi, dazi, ed arti
2. Capitoli n.° 73 degli uffizi, e dazi d. sulle gabelle alle dogane
3. Capitoli più recenti delle arti e del danno dato
4. Capitoli della gabella grossa
5. Capitoli delle Grascia, Monte Frumentario, Fiera, Piazza, Scuole
La ricognizione dei fondi documentari più antichi dell’Archivio storico comunale e della Biblioteca di Imola che ha preceduto la stesura di questo inventario ha consentito di individuare altre unità documentarie attribuibili alla produzione normativa della Comunità. Specificamente, sono stati rinvenuti testi normativi nelle serie Pergamene e Documenti varii di ASCI, nella raccolta Manoscritti imolesi della Biblioteca comunale e nell’Archivio Sassatelli.
L’insieme della documentazione così identificata è stata divisa in due fattispecie: 
a. La documentazione raccolta e descritta analiticamente in questo inventario, sotto il titolo Statuti. La serie comprende i pezzi sciolti dispersi nelle diverse serie esaminate relativi alla produzione normativa del comune prima della soggezione allo Stato pontificio e le diverse copie degli statuti del contado di Imola. Nella nuova serie sono stati pertanto ordinati tre documenti che appartenevano alle serie Pergamene e Documenti vari in quanto sono esplicitamente testi di carattere normativo (3). 
Gli stessi statuti del 1334 che rimasero per tutto il periodo di ancien regime la base normativa della comunità sono giunti a noi soltanto in copie relativamente tarde, la più recente delle quali, considerata anche di recente un originale trecentesco (4), è invece come esplicitamente indicato nel testo una copia imitativa datata 1513. In alcune copie il primo libro degli statuti, quello relativo alle magistrature e agli uffici, fu sostituito dalla nuova normativa istituzionale imposta alla comunità. Dato che non si è conservata la redazione originaria degli statuti cittadini, e neppure copie coeve, tutti i codici che riportano il testo statutario contengono anche la normativa relativa all’assetto istituzionale della comunità dopo gli anni 1505-07, anni che segnarono appunto l’ingresso della comunità nello Stato pontificio. 
b. L’insieme dei capitoli e dei regolamenti che non hanno come oggetto le magistrature e l’ordinamento istituzionale ma il sistema dei dazi, i regolamenti delle diverse corporazioni professionali, e così via (5). 
È stata compresa poi nella partizione che contiene gli Statuti anche la serie delle Riformagioni, il che ha consentito di riunire l’insieme dei resti della produzione normativa della comunità imolese.
 
Diritti e oneri
Le caratteristiche della documentazione qui raccolta sono quelle proprie dei fondi Diplomatici delle città dell’Italia centro-settentrionale: vi si trovano diplomi imperiali e documenti pontifici a conferma di diritti e giurisdizioni, contratti di acquisto che attestano proprietà, enfiteusi o precarie che consentono diritti d’uso, atti e sentenze dei processi sostenuti per risolvere controversie con diversi soggetti in merito a proprietà e diritti, documenti di debito e ricevute di versamento.
Un insieme documentario di tal fatta comprende ovviamente anche deliberazioni dei consigli e delle magistrature cittadine, ordini di pagamento al massaro, registri sull’amministrazione della giustizia penale in un determinato semestre: non si tratta però di organiche serie di magistrature ma di occasionali stralci, conservati probabilmente solo allorché erano divenuti utili a sostenere in giudizio le ragioni del comune. Nella documentazione anteriore alle riforme illuministiche si trovano sempre serie che sono frutto di una selezione deliberata dei documenti più importanti, quelli che attestano diritti giuridici, giurisdizionali e patrimoniali.
Lasciare le unità documentarie tutte insieme, attribuendo loro un mero ordine cronologico - anche se, includendo la documentazione dispersa nelle varie serie, l’insieme appare più completo e utile di quanto non sia nella forma attuale - avrebbe comunque appiattito la documentazione nelle sue evidenti articolazioni interne.
Si è pertanto ritenuto opportuno creare serie virtuali con quelle unità documentarie che si riferiscono a una precisa funzione amministrativa e giurisdizionale, utilizzando da un lato i nessi intrinseci fra le carte, contenutistici e formali, dall’altro le nozioni generali disponibili in letteratura sulle forme e i metodi dell’organizzazione archivistica medievale di fondi analoghi.
E ciò, sulla base del principio che ”l’articolazione in serie di un archivio si collega sia al determinarsi di caratteristiche formali omogenee dei documenti, dipendenti dalla natura degli atti e dei provvedimenti o anche dall’attività cui la documentazione scritta si riferisce [per cui si definiscono in automatico], sia al definirsi di una distinzione tra le funzioni dell’ente [dipendenti nel nostro caso da normazione statutaria]” (6) .
La pratica archivistica medievale di conservare in nuclei distinti la documentazione che attestava i diritti dei comuni e quella che invece documentava l’attività delle magistrature, più soggetta, per forza di cose, alla mutevolezza dei regimi politici, si può riscontrare in realtà urbane diverse, alcune delle quali come Bologna e Cremona, particolarmente ed eccezionalmente documentate in merito alla procedure di conservazione e organizzazione archivistica nel Due e Trecento (7). Il criterio espresso dall’ordinamento almeno inventariale del Repertorium Iurium Comunis Cremone risalente al 1350, risulta analogo a quello che si può verificare nella compilazione dei libri iurium; e quello di Imola non costituisce un’eccezione.
Per quanto attiene nello specifico alla serie Diritti e oneri si è deciso di descrivere, oltre alle Pergamene, anche il Libro Rosso del comune.
Tale descrizione è utile per comprendere la natura dei pezzi sciolti della serie Pergamene, che in gran parte, almeno per gli anni fino all’instaurarsi del dominio bolognese in città, coincidono con le copie autentiche del Libro Rosso
È opportuno fare alcune precisazioni in merito alla descrizione che accludo: il Libro Rosso è formato da 19 fascicoli e da 12 documenti sciolti rilegati insieme. Il fascicolo costituiva nel Duecento l’unità base di composizione di un registro; i fascicoli non sempre erano rilegati una volta compilati. Nel caso del Libro Rosso siamo certi che l’attuale rilegatura settecentesca è opera dell’abate Ferri: la ricostruzione codicologica del pezzo evidenzia quali fascicoli appartenevano alla redazione originaria del 1239, quali alle integrazioni e rielaborazioni successive. Si è pertanto deciso di considerare nella descrizione il registro al livello “serie”, i fascicoli e i documenti sciolti con essi rilegati a livello “unità” e le trascrizioni dei singoli atti all’interno dei fascicoli come “sottounità”. In tal modo si riescono a schedare analiticamente i documenti del registro e pertanto risultano efficaci i richiami dell’inventario Pergamene alle copie autentiche nel Liber iurium e ugualmente i richiami nella descrizione del Liber agli originali conservati fra gli atti sciolti.
Affiancare alla descrizione analitica dei pezzi sciolti quella dei contenuti del Libro Rosso è stata un’operazione necessaria, oltre che per la coincidenza dei contenuti, anche per adeguare lo strumento attuale alla tradizione specifica imolese che è usa accedere ai documenti più antichi dell’Archivio storico comunale mediante il medesimo strumento, il Sommario che Antonio Ferri redasse nel 1712, regestando insieme i documenti della serie Pergamene con quelli del Libro Rosso.
Nell’ambito della nuova serie Atti vari, diverse unità che attualmente appaiono come pezzi sciolti conservano tracce di cuciture che in alcuni casi consentono di riaccorpare le unità in rotoli pergamenacei coerenti. Si tratta prevalentemente di documentazione portata a sostegno delle ragioni del comune di Imola in occasione di dibattimenti processuali. Per uno di questi casi poi, e cioè il cosiddetto processo della Massa che la comunità sostenne nel 1456 contro Rengarda Gonzaga per l’esercizio dei diritti d’uso e giurisdizione su Massa Lombarda, lo stesso abate Ferri ha lasciato memoria su un certo numero di pezzi, ora dispersi nei primi 12 mazzi della serie Pergamene, che tali unità costituivano un unico fascicolo da lui stesso sciolto per potere sistemare in ordine cronologico i singoli documenti. In altri casi invece - un processo relativo alla stessa Massa Lombarda del 1234, i diversi atti di procura e i giuramenti con i quali si addivenne alla pacificazione fra le parti dei Brizzi e dei Meldoli nel 1255, la controversia col vescovo sul canale dei Mulini del 1258, e diversi altri ancora - manca una testimonianza diretta di Ferri, ma le evidenze materiali delle unità, specie le cuciture, e le prove contenutistiche (si tratta spesso di diverse copie autentiche estratte da originali sciolti o da registri del comune nel medesimo giorno, per il medesimo fine), testimoniano una primitiva conservazione delle carte in fascicoli e rotoli.
Di tutto questo si è dato conto nelle note in calce alle singole unità. 
Nel caso poi di evidenze materiali e contenutistiche tali da non lasciare dubbi sullo smembramento di un solo pezzo documentario in più unità, è stata ricostituita anche materialmente una sola unità archivistica della quale è stata pertanto prodotta una sola scheda che nel campo Segnatura definitiva assomma le diverse segnature precedenti.

Le magistrature
I documenti che è stato possibile attribuire specificamente all’attività giurisdizionale e amministrativa di singole magistrature comunali sono stati raccolti in raggruppamenti specifici, Atti di amministrazione giudiziaria, Cancelleria e Atti di amministrazione finanziaria,  all’interno dei quali si segue un ordine cronologico segnato dal succedersi delle diverse serie che compongono la documentazione dell’ufficio. Negli archivi medievali era presente infatti un’articolazione in serie; all’interno delle diverse serie la dottrina archivistica, sulla base degli inventari medievali rimasti, ritiene prevalesse l’ordine cronologico (8) e per ufficiale o notaio (i due ordini, in realtà, coincidono se si considera il sistema di datare in base al nome del podestà dell’anno o del semestre).
Si è già detto che non si tratta di organiche serie di magistrature ma di serie che si è voluto ricostruire utilizzando occasionali stralci della documentazione, conservati probabilmente solo allorché erano divenuti utili a sostenere in giudizio le ragioni del comune o per altri motivi a noi ignoti. È stata per altro seguita una logica rigidamente diplomatistica: infatti non si sono accorpate, per esempio, nella serie Riformagioni, tutte le delibere consiliari di cui si sono conservate solo copie autentiche - che rimangono invece nella miscellanea, accanto agli altri documenti delle pratiche che ne avevano consigliato la produzione - ma soltanto i registri, i quaderni o i frammenti di tali pezzi che sono stati conservati in originale. Tale principio vale naturalmente per tutte le altre serie prodotte. Si può notare, osservando la consistenza dei singoli titoli e la loro datazione, come la produzione delle magistrature urbane ci sia arrivata per piccoli gruppi, limitati ma coerenti: penso nello specifico ai registri delle condanne e agli atti sciolti delle accusationes delle podesterie di Iohannes de Cancelleriis di Pistoia e di Iohannes de Infangatis di Firenze. O alle epistole ordinate dall’ufficio di cancelleria nel 1422 che recano ancora le tracce materiali della loro raccolta in filze. E ancora agli ordini di pagamento al massaro, conservati in serie cospicue per gli anni dal 1332 al 1335.
Si è voluto, in sintesi, offrire uno strumento che, nonostante il “sinistro” - per riprendere le parole di Romeo Galli - che il fondo antico dell’Archivio comunale di Imola ha patito nel corso dei secoli, desse conto della articolata produzione documentaria delle magistrature imolesi dal primo comune all’età signorile, una produzione che per quanto conservatasi solo per brani, offre numerose informazioni utili a comprendere l’evoluzione nel tempo e durante i diversi regimi politici delle magistrature cittadine, informazioni importanti per chi intenda studiare l’organizzazione politica imolese e i suoi risvolti amministrativi.

Note
(1) Bim, ASCI, Bolle, brevi e chirografi pontifici, ricognizione (giugno 1999). Il mazzo I ha una consistenza di 57 documenti la cui datazione è compresa fra il 1256 e il 1511.
(2) Cfr. ibid., Note introduttive.
(3) Cfr. i documenti descritti in inventario ai nn. 1, 2 e 3.
(4) Cfr. PADOVANI 1997, p. 122.
(5) Cfr. i documenti descritti in inventario alla serie Statuti dei dazi e quelli descritti nella ricognizione che comprende la documentazione di Antico regime: Bim, ASCI, Antico regime, Capitoli, editti, ordinamenti e regolamenti.
(6) CARUCCI, p. 156.
(7) Per Bologna si veda ROMITI 1994. Per Cremona LEONI 1999.
(8) CARUCCI, p. 156 e LODOLINI 1991, pp. 42-45.

informazioni sul contesto di produzione
Note per un profilo degli sviluppi istituzionali a Imola fra XII e XV secolo
Il primo comune
La prima attestazione di una forma di autonoma determinazione della cittadinanza imolese nel governo della città risale all'anno 1084 quando il vescovo della diocesi corneliense, che non risiedeva all'interno dello spazio urbano ma nel castrum di S. Cassiano, dovette concedere alla cittadinanza il teloneo e l'uso del porto di Conselice (1). Sottoscrissero la concessione dieci cittadini imolesi che, pur non essendo definiti né consulesrectores, appaiono agire in rappresentanza dell'intera comunità urbana (2). Il documento dovette essere ritenuto momento fondante dell'autonomia cittadina: non a caso, è il documento più antico conservato nell'archivio storico comunale, dove si trova in quattro esemplari, e fu poi trascritto nel duecentesco Liber iurium del comune.
La prima testimonianza esplicita di istituzioni comunali di fase consolare si trova in un documento del 1140 (3). Il collegio dei consoli della città formato da otto persone ricevette una donazione a nome di tutta la cittadinanza radunata nell'arengo. Sede delle riunione dell'arengo era la pieve di S. Lorenzo: le sue diverse parti, coro della chiesa, cimitero, chiostro, canonica erano i luoghi deputati alle assemblee del primo comune (4). Nella particolare condizione imolese che vedeva la sede episcopale sorgere lontano dalla città, in un centro demico contrapposto e spesso ostile, la pieve urbana assunse a Imola un ruolo centrale nello sviluppo delle prime forme di autogoverno cittadino.
Durante la prima metà del XII secolo il comune di Imola si trovò ad affrontare il problema dell'allargamento della sua giurisdizione al contado in una condizione di notevole difficoltà. Furono difficoltà in parte interne e in parte esterne alla comunità urbana, una condizione frequente nell'Italia centro-settentrionale del tempo ma complicata, nel caso di Imola, dalla tradizionale alterità della sede vescovile sita nel castrum di S. Cassiano a pochi chilometri dall'abitato cittadino con il centro urbano di tradizione romana, Forum Cornelii (5). Gli Imolesi nel tentativo di estendere la propria autorità nel contado si trovarono quindi in contrasto tanto con il proprio vescovo, titolare di diritti giurisdizionali nell'ambito del territorio diocesano, quanto con le città confinanti, Faenza e Bologna, quest'ultima particolarmente aggressiva nella propria politica espansionistica.
Le vicende di rivendicazioni locali che, alla metà del secolo XII, fecero da contorno alle diverse discese in Italia dell'imperatore Federico I trovarono a Imola una condizione di particolare complessità. Bologna era intervenuta a difesa del castrum di S. Cassiano su esplicito invito del pontefice Eugenio III (6) e, sconfitti gli Imolesi, era riuscita all'inizio degli anni cinquanta del secolo a imporre direttamente la propria autorità a Imola (7). La cittadinanza imolese vide allora l'unica possibilità di riconquistare la propria indipendenza in una decisa scelta politica di fedeltà imperiale. E se, in un primo tempo, l'imperatore e i suoi messi cercarono di non schierarsi in modo troppo esplicito per l'una o per l'altra delle parti in causa, concedendo diplomi all'episcopio così come alla cittadinanza, prevalse infine anche nel potere imperiale la volontà di appoggiare la cittadinanza. Nelle vicende della metà del secolo XII si segnarono così in modo pressoché definitivo i destini della città romagnola: da allora in avanti essa riuscì ad avere larghi margini di indipendenza soltanto nei momenti che videro la presenza in Italia di un potere imperiale forte che consentisse alla città di scrollarsi dalla soggezione bolognese.
Alla fine del XII secolo, con l'appoggio di Enrico VI, la città ottenne una definitiva vittoria, perseguita per un secolo intero, sull'insediamento castrense sorto attorno alla cattedra diocesana. Il vescovo, una volta distrutto il castrum, fu costretto a trasferire in città la cattedrale, la canonica, il suo palazzo; gli abitanti del castrum ottennero dal comune aree contigue allo spazio destinato ai nuovi edifici diocesani per ricostruire le proprie abitazioni. L'area urbana di Imola si ampliò così ad accogliere l'intera comunità che fu insediata nell'area sud-ovest dell'attuale centro storico, allora a ridosso del fossato antico della città.
Il comune podestarile
Il periodo compreso fra l'inurbamento della cattedrale e i primi due decenni del Duecento costituisce il momento di maggiore indipendenza e di crescita della città di Imola. Risolto in modo definitivo il problema dell'inurbamento della sede episcopale, fu negli anni 1209-1210 che avvennero in città notevoli trasformazioni politiche e istituzionali. Se durante i secoli X e XI in città era stato centrale il ruolo della pieve di S. Lorenzo sia come ente religioso che come sede di aggregazione politica dei cittadini, l'arrivo all'interno dell'ambito urbano della chiesa vescovile e della canonica di S. Cassiano nonché dell'intera cittadinanza del castrum modificò profondamente i rapporti di forza interni al comune. Al 1209 (8) risale l'attestazione di un governo misto del comune: nel documento appaiono insieme il podestà e vescovo della città, Mainardino (9), e ancora i consoli e il consiglio. La carica podestarile nelle mani del vescovo servì a segnare il passaggio istituzionale da una prevalente forma consolare a una ormai definitiva forma podestarile: non solo da allora in avanti continua la serie dei podestà (nel 1210 Guifredo de Posterla (10)), ma è pure da questo momento in avanti che appare definirsi un'organizzazione amministrativa complessa: cominciano infatti a essere testimoniate le cariche di massaro e di iudex communis (11). Negli stessi anni, 1210-11, il comune provvide ad acquistare case e terreni siti al centro della città che furono impiegati nella costruzione del palazzo pubblico (12). Il consolidamento istituzionale e la costruzione del palazzo del comune negli anni 1210-11 fu dovuto a fattori di politica generale favorevoli alla città di Imola: le città di tradizione filo-imperiale trassero in genere giovamento dall'elezione di Ottone IV dopo lunghi anni in cui nessuno era riuscito a ottenere il titolo di imperatore. Già nel 1209 Ottone aveva costretto Bolognesi e Faentini a rinunciare ai possessi imperiali nel comitato di Imola, confermando la sua tutela alla città e al suo contado (13).
Se la condizione interna si era stabilizzata e ricomposta in nuove forme di convivenza fra la cittadinanza e la diocesi, la pressione esterna sul contado della città non era certo diminuita. Il nuovo periodo di vacanza imperiale che precedette l'incoronazione di Federico II di Svevia comportò fra il 1219 e il 1222 un attacco deciso di Bolognesi e Faentini contro Imola, a sostegno del secondo centro fortificato che ancora sorgeva a ridosso dell'abitato, il castrum Ymole. L'attacco degli eserciti delle città contermini fu violento e causò distruzioni importanti all'assetto fortificato di Imola e, probabilmente, anche a parte dell'insediamento civile. La rinnovata presenza imperiale e la reazione degli abitanti sostenuti dal vescovo Mainardino che assunse nuovamente la carica podestarile, portarono alla definitiva distruzione anche del castrum Ymole e all'inurbamento dei suoi abitanti.
Dalla seconda metà degli anni venti del Duecento fino al 1248 la città di Imola rimase sotto una diretta tutela imperiale che ne fece l'avamposto politico e amministrativo in Romagna di Federico II. Nel 1225 Federico II aveva ordinato alla stessa città di Bologna di ripristinare le mura di Imola, distrutte nell'assedio del 1220 (14). Il 13 gennaio 1227 Federico II inviava una missiva indirizzata ai sudditi di Romagna, sollecitandoli ad aiutare i conti Malvicini di Bagnacavallo, Taddeo e Buonconte di Montefeltro e di Urbino, fideles dell'impero, nell'opera di ricostruzione della città di Imola (15).
L'assoggettamento politico della città all'impero, unica protezione possibile per riuscire a mantenere uno spazio vitale, si evince in pari misura dalla ristrutturazione urbanistica e dai cambiamenti istituzionali. La città fu da allora in avanti governata regolarmente da podestà forestieri, alcuni certamente di designazione imperiale (16). Nei momenti di maggiore difficoltà, per ben due volte nei primi trent'anni del Duecento, assunse la podesteria il vescovo della diocesi corneliense, il celebre Mainardino (17), rappresentante del partito filoimperiale e probabile autore di una biografia di Federico II. Nel medesimo periodo, precisamente nel 1239, fu compilato il Libro Rosso, ossia il liber iurium della città, che doveva costituire la base giuridico-documentaria per il governo dei diritti reali della comunità da parte di uomini forestieri quali i podestà di designazione imperiale. Non a caso nella compilazione del registro manca ogni tipo di riferimento a documenti che sottolineassero diritti di indipendenza giurisdizionale della comunità - diplomi imperiali, per esempio, o la pax Costantiae, documento di esordio di numerosi libri iurium dei comuni centro-settentrionali - e sono invece raccolti tutti gli atti che attestavano diritti reali della comunità su beni e terre nella città e nel contado. L'ordinata ristrutturazione amministrativa che a Imola si realizzò in quel torno di tempo si evince pure dalla nuova partizione della città in dodici contrade, che fungevano da circoscrizioni elettorali per il consiglio generale, da centri di reclutamento dell'esercito comunale, da basi per la strutturazione e la manutenzione delle difese urbane (18).
Ereditando una tradizione di controllo delle città di derivazione normanna (19), nella soggezione delle città meridionali Federico II prestò grande attenzione a ridurre l'uso della forza militare e dei suoi simboli, torri e casetorri, da parte di privati. In questo senso si può leggere anche una vicenda imolese degli anni trenta del Duecento allorché il rappresentante di una delle famiglie di maggiore rilievo fra l'aristocrazia consolare della città, Cacciaguerra dei Marescotti, fu espropriato di un importante complesso abitativo situato nel centro di Imola, dove riusciva a controllare con una possente torre signorile l'incrocio fra il cardo e il decumano della fondazione romana. Una torre signorile che fu acquistata dal comune e inglobata nel complesso di edifici che costituivano il palazzo comunale, un palazzo "pubblico" che andava a sostituire con simboli di materiale controllo sulla città - alta torre signorile, volte e prospetti sulle vie principali e sulle piazze del mercato - le residenze dei privati cittadini che fino a quel momento avevano dominato la scena politica della città (20).
La costruzione di un castello urbano (21), l'abbattimento del potere della più importante consorteria urbana, la redazione di un liber iurium dove l'attestazione dell'autonomia delle istituzioni comunali non era certo la finalità precipua ma piuttosto l'ordinata rivendicazione dei diritti reali della comunità, la ristrutturazione urbanistica con la creazione di partizioni amministrative nuove che tenevano conto dei recenti inurbamenti: l'insieme di questi elementi si configura come un coerente disegno politico di ristrutturazione di una città non indipendente ma razionalmente inserita in una più ampia compagine territoriale, la Romandiola, da assoggettare al potere imperiale. Gli effetti dell'azione di Federico II in Romagna non si limitarono al quasi decennale controllo imperiale sulla regione. Tale azione "tolse ai singoli comuni la loro forza interna, così che, dopo che fu caduto il governo imperiale, sembrò esteriormente che avessero ristabilito la loro antica autonomia mentre in realtà c'era da chiedersi chi fosse in grado di raccogliere l'eredità del potere federiciano" (22). A raccogliere tale eredità in Romagna furono i Bolognesi in un primo tempo e in seguito la chiesa di Roma: i nuovi regimi non mutarono però, anzi seppero sfruttare con accortezza, tanto le strutture materiali quanto i modi di governo inaugurati in epoca federiciana.
Nel 1248 Ottaviano degli Ubaldini, cardinale legato della sede apostolica, assoggettò la Romagna in collaborazione con Bologna. Dall'anno successivo, dopo che anche il vescovo Mainardino abbandonò la sede episcopale, Imola rimase fino al 1274, per quasi trent'anni dunque, soggetta all'autorità politica bolognese secondo forme e modalità istituzionali che si definirono progressivamente nel corso dei primi quindici anni di dominio.
Fino all'estate del 1254 la città mantenne formalmente una certa indipendenza da Bologna mentre al suo interno si verificarono continui scontri fra le due partes dei Menduli e dei Brizzi, tradizionalmente identificati come guelfi e ghibellini, etichette che nascondevano in realtà i fautori del trascorso regime e i partigiani dei Bolognesi. Dopo uno scontro armato particolarmente violento che comportò l'espulsione dalla città della parte guelfa, nel luglio del 1254 (23) Bologna intervenne direttamente nell'organizzazione politica interna di Imola, non più soltanto appoggiando la parte guelfa, ma imponendo cambiamenti istituzionali ed eleggendo direttamente i magistrati del comune limitrofo (24). I Bolognesi promossero una riunione della pars populi di Imola, del partito guelfo e filo-bolognese cioè, nella cattedrale di S. Cassiano (25) e indussero il popolo di Imola a darsi un'organizzazione analoga a quella bolognese, per superare, così recita il documento, le discordie interne. Furono eletti otto rappresentanti del popolo, detti in seguito anziani o consoli del popolo, e si deliberò di eleggere come massimo magistrato di parte popolare un capitano da scegliersi fra i Bolognesi di parte guelfa. Due giorni dopo una delegazione del popolo di Imola si recò a Bologna presso gli anziani del popolo e i consoli della mercanzia e del cambio che non assegnarono d'autorità il capitano agli Imolesi ma consentirono loro di sceglierlo liberamente. Essi scelsero però - naturalmente - un bolognese, Bretoldo condam Ballugani, che doveva mantenere la carica per un anno, sino alla festa di san Pietro del giugno successivo. L'istituzione del capitanato del popolo, utile in quella particolare congiuntura ai Bolognesi - mentre cioè prevaleva la parte ghibellina nel governo del comune - creò un fittizio sdoppiamento istituzionale all'interno della città romagnola che si rivoltò contro i Bolognesi stessi quando nel 1255, rientrati i guelfi e ottenuta la podesteria del bolognese Alberto Caccianemici, il capitanato del popolo diventò strumento politico per la parte contrapposta, come si evince dal succedersi di capitani fiorentini di parte ghibellina (26): La storiografia imolese ha evidenziato più volte come appaiano artificiose le istituzioni di popolo a Imola, che mai sembrano rappresentare un sostrato sociale coerente ma che si configurano prevalentemente come parti di un conflitto pilotato da forze esterne che miravano al controllo della città. È importante notare che lo stesso anno in cui è attestata la compartecipazione nel governo della città di Bolognesi e Fiorentini attraverso il controllo delle due massime cariche istituzionali la podesteria e il capitanato del popolo, ossia il 1255, è anche quello che vide la stipulazione di numerosi atti formali di pacificazione fra le due partes i Brizzi e i Meldoli.
Le istituzioni popolari di governo subirono durante gli anni cinquanta frequenti cambiamenti di denominazione, quasi dei progressivi aggiustamenti: nel 1257 è attestata la magistratura degli otto consoli del popolo di Imola (27). Nel giugno del 1261, sotto la podesteria del bolognese Andalò, compare per la prima volta il collegio degli Anziani del popolo di Imola, composto da otto membri (28) . Nel settembre dello stesso anno (29) in una delega sindacale le massime cariche del comune appaiono essere il podestà Alberto Caccianemici, lo "iudex populi" Giovanni Guiscardi, 6 consoli del popolo e il consiglio generale del comune. Nel 1263 poi, alla ratifica di un arbitrato, sono presenti il podestà e 12 "capitibus ordinum populi" (30).
La soggezione a Bologna
Ma nell'anno 1263 l'equilibrio interno a Imola fra le due partes si era nuovamente infranto: nel primo semestre di quell'anno podestà e capitano furono entrambi bolognesi. Le disposizioni prese in tale periodo provocarono la reazione armata della parte dei Mendoli che, sotto la guida di Pietro Pagani, prevalse negli scontri urbani e cacciò da Imola i guelfi. La reazione bolognese non si fece attendere: fu sufficiente ai Bolognesi porre in assedio la città et habuerunt ipsam pro concordia (31). Ripreso il controllo di Imola, questa volta i Bolognesi agirono con determinata violenza nello smantellamento dell'impianto fortificatorio della città: inviarono una grande quantità di contadini con l'incarico di spianare i fossati del lato ovest e ordinarono al comune di Faenza di mandarne altrettanti per spianare i fossati a est (32). Furono distrutti i serragli e il "castrum quod fieri fecerat Federicus imperator" (33) che era stato negli anni cinquanta il baluardo armato della parte ghibellina in città. Rimase così soltanto la rocca in direzione ovest, voluta da una disposizione bolognese del 1259, realizzata nei primi anni sessanta a presidio della parte guelfa in città.
I Bolognesi imposero una pacificazione fra le parti che consentì il rientro dei fuoriusciti, ma il loro intervento, assai più determinato questa volta che nei primi anni cinquanta, non risparmiò l'assetto istituzionale del comune imolese. Nel 1264 (34) il consiglio del popolo del comune di Bologna dispose che il comune di Imola doveva considerarsi soggetto alla diretta giurisdizione bolognese: perdeva pertanto la facoltà di governarsi attraverso statuti propri e di eleggere autonomamente i propri magistrati. Da quel momento in avanti il comune di Imola sarebbe stato direttamente sottoposto all'autorità del podestà bolognese che avrebbe governato la città tramite un vicario. Negli stessi anni inoltre i Bolognesi provvidero a una riorganizzazione giurisdizionale del comitato di Imola, del territorio diocesano cioè, che prescindeva completamente dalla città soggetta. Il comitato fu diviso in due parti super e subtus stratam, la via Emilia si intende, e ciascuna delle due parti fu assoggettata a un diverso podestà, sempre di nomina bolognese (35).
Disposizioni successive del governo bolognese precisarono i termini della dipendenza: nel settembre del 1264 (36) il consiglio del popolo del comune di Bologna stabilì che il vicario residente a Imola era tenuto a rispettare le disposizioni del consiglio del popolo bolognese in merito all'obbligo di imprigionare i banditi per debito del comune di Bologna anche se residenti a Imola; nell'agosto 1266 i consigli generale e speciale del comune di Bologna disposero che il vicario del podestà dovesse risiedere a Imola 15 giorni ogni mese per l'esercizio delle sue funzioni (37).
Permaneva peraltro la parallela organizzazione di popolo, anch'essa ormai sotto il saldo controllo bolognese: nel gennaio 1264 un collegio di aperticatores del comune fu nominato dagli Anziani e dal consiglio generale del comune (38); nel settembre 1264 l'aggiornamento di una norma statutaria fu letto in consiglio dagli Otto consoli del popolo coadiuvati da sette sapienti (39); il documento si è tramandata in copia autentica coeva redatta per ordine del capitano del popolo Lambertino.
La documentazione dell'Archivio storico comunale attesta soltanto dal 1265 in avanti la giurisdizione doppia a Bologna e a Imola del podestà bolognese e la contestuale presenza di un vicario a Imola. Risale al marzo del 1265 (40) la prima attestazione della presenza in città di un vicario del podestà di Bologna, ossia Preposito de Fulconibus, vicario del podestà di Bologna e Imola Guglielmo di Sesso (41).
Nel gennaio del 1266 da un documento di procura sindacale apprendiamo come il consiglio generale fosse stato sostituito - almeno nella denominazione - da un consiglio "silicet generale populi et comunis et credentie". Nello stesso anno 1266 a ottobre (42) la datazione topica di una procura sindacale "in palatio veteri comunis, in pleno et generali consilio civitatis Imole, tam populi quam comunis et consilio credentie" ribadisce la nuova denominazione del consiglio cittadino. La diretta soggezione a Bologna aveva reso inutile la sovrapposizione istituzionale di un consiglio del comune e di un consiglio del popolo che non aveva anche in precedenza rappresentato a Imola un diverso sostrato sociale: dell'importazione delle articolate magistrature di popolo del comune bolognese rimaneva traccia soltanto nella rinnovata denominazione del consiglio. Sempre nel 1266 in agosto un documento di procura sindacale emesso da Marco Contarino, vicario del podestà di Bologna e Imola Giovanni Dandolo, ci informa della consistenza numerica e della composizione del consiglio generale del comune di Imola: i 239 consiglieri sono infatti elencati nominativamente.
Il 20 giugno 1267 (43) infine, il consiglio del Popolo del comune di Bologna stabilì che il vescovo Tommaso di Imola, così come i suoi predecessori, dovesse essere considerato "horiundo" della città di Bologna e vietò pertanto agli Imolesi di molestarlo nella persona e nei beni. Perché la delibera fosse legittima si stabilì di cassare una precedente riformagione del consiglio del Popolo bolognese che vietava ai Bolognesi stessi di intervenire nelle questioni interne imolesi e si ribadì invece la validità del patto esistente fra i due comuni di Imola e Bologna, patto che era "scriptum et pictum in tabulla marmorea que est inserta in palatio veteri comunis Bononie, a latere sero ipsius palatii".
Nel 1270 si apriva a Bologna una fase violenta negli scontri fra le parti cittadine: la cacciata dei Lambertazzi fu seguita a Imola dalla cacciata della fazione ghibellina, i Mendoli. I ghibellini bolognesi e imolesi trovarono rifugio a Faenza (44). Occupata dalle vicende interne Bologna dovette allentare il suo controllo su Imola; vari indizi documentari concordano nell'attribuire al periodo 1271-1272 una serie di nuovi cambiamenti nel regime politico e istituzionale imolese. Nel 1271 il consiglio dei 12 anziani del popolo indice un consiglio generale e sottopone all'approvazione dell'assemblea una nuova norma statutaria relativa alla manutenzione del canale dei mulini, norma già in precedenza approvata dagli anziani stessi (45). Il documento è importante per diversi motivi: in primo luogo appare per la prima volta il consiglio degli Anziani a capo dell'esecutivo; non è nominato il vicario del podestà di Bologna; Anziani e consiglio votano una riformagione statutaria cosa che implicitamente attesta l'indipendenza giurisdizionale delle magistrature imolesi dal controllo bolognese. La normativa imposta da Bologna - come abbiamo già ricordato - prevedeva infatti che il comune di Imola non potesse avere statuti propri. Altro indizio di cambiamenti istituzionali è il fatto che per la prima volta membri del consiglio generale del comune sono indicati in base alla circoscrizione amministrativa - la "contrata" - di appartenenza (46).
Il cambiamento istituzionale appare evidente anche dall'inizio delle attestazioni di relazioni dirette della cittadinanza imolese con la curia del conte di Romagna: nell'ottobre 1271 Guglielmo di Alba, giudice della curia del conte di Romagna interviene contro il comune di Imola accusato di avere elette il podestà senza il consenso del conte (47); nel novembre dello stesso anno un alto giudice della stessa curia ordina al podestà di Imola Taurello di ritirare disposizioni di confino nei confronti di alcuni cittadini imolesi (48).
Al 1272 inoltre risale il primo registro degli appartenenti alle corporazioni di mestiere della città di Imola (49), un registro del quale è stato conservato solo un frammento (50).
Bologna non rinunciò al controllo di Imola e alla fine del 1272 parve avere riguadagnato una posizione di autorità nella città romagnola: una riformagione del comune di Bologna delibera infatti sulle prerogative del podestà e del suo seguito a Bologna e a Imola: podestà in quell'anno era Luchetus de Gatiluxiis (51). E, nel febbraio 1273 è attestato per l'ultima volta un podestà di Bologna e Imola tale Guidesto (52) che a Conselice ordina agli ufficiali chiamati a riscuotere i dazi del porto di applicare i medesimi pedaggi ai Bolognesi e agli Imolesi dato che dovevano considerarsi come appartenenti a una medesima cittadinanza (53).
Verso il regime signorile: autorità pontificia e vicarii
Dal 1273 al gennaio 1277 eccezione fatta per due documenti dell'aprile 1274 nell'Archivio storico comunale di Imola esiste un vuoto documentario che potrebbe essere in diretta relazione con i disordini bolognesi del 1274 che culminarono con la cacciata dei Lambertazzi. Quando riprendono le attestazioni, il podestà in carica nel gennaio 1277 era Bitino condam Dionisii de Blatisiis che è definito solamente podestà di Imola e non di Bologna (54).
Nel 1275 nella battaglia di S. Procolo nei pressi di Faenza i Geremei bolognesi patirono una grave sconfitta dalla parte ghibellina romagnola che aveva approfittato delle discordie bolognesi per riorganizzarsi. Lo schieramento ghibellino, agli ordini di Guido da Montefeltro, riuniva i fuoriusciti ghibellini di Bologna e Imola e le città di Forlì e Faenza dove, nello stesso anno, era diventato podestà Maghinardo Pagani di Susinana. La reazione della parte guelfa e in specie di Carlo d'Angiò fu anticipata dal sopraggiungere in Romagna dei legati imperiali di Rodolfo I d'Asburgo, diventato imperatore nel 1273 dopo l'interregno seguito alla morte di Corradino di Svevia; i legati richiesero a tutte le città romagnole un giuramento di fedeltà all'impero.
Negli anni 1276-77 vi fu invece un rafforzamento della parte guelfa in Romagna e Bonifacio Fieschi, arcivescovo di Ravenna, divenne legato pontificio in Romagna. Le ostilità armate che seguirono videro prevalere i ghibellini: Guido da Montefeltro vinse a Civitella; Maghinardo Pagani conquistò Marradi e vinse a Piancaldoli i bolognesi.
Fu in seguito all'elezione di Gaetano Orsini al soglio pontificio con il nome di Niccolò III che la situazione in Romagna si avvicinò a una svolta: l'elezione risollevò le sorti guelfe e l'impero cedette la giurisdizione della Romagna al papato nel 1278 (55). Conte di Romagna divenne Bertoldo Orsini.
La mutata condizione politica generale ebbe significativi riflessi anche sulle istituzioni politiche imolesi: nel novembre 1278 il vertice dell'organizzazione politica cittadina appare nelle mani del consiglio degli anziani, che comprendeva 12 membri, e del consiglio generale del popolo di Imola. I due consigli agirono insieme al fine di recuperare i diritti della città sul suo contado rivolgendosi al conte di Romagna e al pontefice Niccolò III. Nella prima metà del 1279 una serie di documenti attesta le iniziative intraprese dagli organi comunali in tal senso (56): era accaduto che Bertoldo Orsini, nipote del pontefice, aveva occupato il contado di Imola, mantenendolo perciò separato dalla giurisdizione urbana, con il pretesto che già il comune di Bologna lo aveva organizzato in modo istituzionalmente indipendente (57). Il comune di Imola a sostegno dei suoi diritti presentò alla camera apostolica le copie dei privilegi concessi alla città dagli imperatori Federico I e Federico II (58).
Nel giugno 1280 la città appare retta da un giudice e vicario generale del conte di Romagna - che a volte viene definito pure vice podestà (59) - affiancato nelle sue funzioni dal consiglio detto generale e del popolo (60) e dal collegio degli Anziani (61). Il vicario affiancò i consigli cittadini nel perorare presso il pontefice Niccolò III il recupero delle giurisdizioni di Imola nel contado (62).
Il consiglio della città è definito alternativamente, senza che con ciò appaia si indichino funzioni diverse, "consilio generale comunis" o "consilio generale populi" (63). Il progressivo prevalere di un sistema amministrativo imposto, nel caso di Imola, prevalentemente dall'esterno, determinò un prevalere della rappresentanza zonale nei consigli piuttosto che di parte politica: dal 1282 appare evidente il rilievo che la residenza nelle dodici contrade urbane assume nella rappresentanza nei consigli e in diversi incarichi ufficiali del comune: anche nei contratti di debito che il comune contrae con prestatori bolognesi, i nomi dei fideiussori sono accompagnati dalla indicazione della contrada di appartenenza (64).
Il peso economico della soggezione della città al conte di Romagna si evince dal fatto che il comune contrasse numerosi prestiti per pagare gli stipendiari mandati a far parte dell'esercito del conte (65) e impose in città collette straordinarie (66).
Il peso soprattutto economico della nuova soggezione al governo pontificio della Romagna non poteva creare che un ampio malcontento a Imola; ogniqualvolta la debolezza del papato lo permise vi furono tentativi di ribellione. Negli anni ottanta e novanta del secolo XIII, inoltre, la parte ghibellina romagnola conobbe un progressivo rafforzamento sotto la guida di Maghinardo Pagani.
Un cambiamento istituzionale a Imola, nuovamente in conseguenza di disordini interni, è evidente nella seconda metà degli anni ottanta. Nel novembre del 1286 sotto la podesteria di Ugo di Medicina numerosi cittadini di Imola furono posti a confino nelle terre di Medicina, di Argenta, e nel borgo di Castel San Pietro (67). E - a esito dei disordini e del successivo riassestamento - nel giugno 1287 la compagine istituzionale del comune si presentava mutata: le magistrature di vertice erano rappresentate da un "vicarius in regimine civitatis" direttamente designato dalla curia del conte di Romagna, tale Geroldo, e da un "defensor communis" o, in altre attestazioni, "defensor populi" Lito degli Alidosi (68). La diretta tutela della città attraverso un vicario ebbe vita breve: già nel settembre dello stesso anno al vertice del comune appare il podestà, Giuliano de Gaetanis di Brescia, il "defensor populi civitatis", Lito Alidosi e gli Anziani (69). Fu dunque in questi anni - fra il 1286 e il 1290 - che vi fu il primo tentativo di dominio signorile a Imola a opera di esponenti di quella stessa famiglia, gli Alidosi, che nel Trecento, con maggiore successo, ottenne prima il dominio di fatto e poi il vicariato pontificio in città. Il primo tentativo si attuò esteriormente attraverso il cambiamento della denominazione della carica di capitano del popolo che divenne defensor populi: se è vero che questo cambiamento nacque dal desiderio di stabilizzare un dominio personale rispettando almeno formalmente le istituzioni comunali, non si deve dimenticare che la carica capitaneale non godeva a Imola di una tradizione derivata dall'evoluzione interna della costituzione comunale, ma si era configurata fin dal suo sorgere per diretta volontà bolognese come uno strumento politico di dominio sulla città e garantiva per questo motivo, fin dalle origini, "un potere larghissimo che consentiva il controllo dell'apparato comunale" (70).
Nel medesimo anno le attestazioni documentarie consentono di ricostruire, pur in assenza della normativa statutaria, i modi di funzionamento delle magistrature consiliari. Il consiglio generale del popolo era convocato dagli Anziani. Tale consiglio doveva ratificare i provvedimenti già approvati dal collegio degli Anziani, dal consiglio "della campanella piccola" e dai ministrali delle società di Imola (71). Lo stesso procedimento consigliare è confermato nel giugno 1288 (72). Un documento del 1287 attesta inoltre l'intera composizione del consiglio: di ciascuno dei membri è segnalata l'appartenenza alle nove corporazioni o a sette delle dodici contrade della città (73). Il criterio di rappresentanza appare dunque misto - di parte e zonale -, tale da giustificare nei fatti la doppia denominazione consilium populi e consilium comunis: valeva da una parte l'appartenenza a una delle societates del popolo e, dall'altra, la residenza in una delle sette contrade centrali che organizzavano la popolazione più antica dei tre gruppi demici che fra la fine del XII e i primi del XIII secolo avevano costituito la nuova città: Forum Cornelii, castrum Imole e castrum S. Cassiani, la sede vescovile. Da una carta del 1288 siamo informati che il consiglio dei tredici sapienti era eletto dal podestà, che gli anziani erano dodici e che i due collegi si riunivano insieme (74) convocati dal capitano del popolo.
Con la fine degli anni ottanta si aprì una nuova fase di scontri urbani; in un primo tempo le due fazioni prevalenti si divisero le cariche podestarili e capitaneali: nel 1288 defensor comuni et populi era Alidosio Alidosi mentre podestà era il conte Bernardino di Cunio (75). Le magistrature cittadine si impegnarono comunque in modo unitario per ridurre la pressione fiscale sulla comunità imposta dal conte di Romagna: risale al 1289 l'appello presentato dai magistrati urbani presso la S. Sede contro l'attribuzione del numero di fumanti alla città di Imola (76).
Ancora nel 1290 Alidosio Alidosi era defensor populi (77). La carica del podestà durava a quell'epoca sei mesi dal 1° maggio al 31 ottobre e dal 1° novembre al 30 aprile; il podestà era nominato dagli Anziani e dal defensor populi (78). Dopo la cacciata prima della fine del mandato del podestà Tommasino de Bochempanis di origini ferraresi, divenne insieme podestà e capitano tale Lorenzo de Sancto Alberto che fu designato direttamente dal conte di Romagna per la S. Sede, Stefano Colonna; il 20 aprile 1291 aveva già esaurito il mandato (79). Nel dicembre del 1291 (80) un documento attesta come fosse già stato designato alla podesteria il bolognese Mattiolo dei Galluzzi. Questi, anche se ricusato dal conte di Romagna, non volle rinunciare in un primo tempo alla podesteria. Nel febbraio del 1292 Mattiolo ricevette infine 600 lire di bolognini in cambio della sua rinuncia alla podesteria (81).
Controversie ci furono anche in seguito alla podesteria di Nesio de Guelfutiis di Città di Castello (82): nell'aprile del 1292 il podestà da una parte e il comune dall'altra si affidarono per risolvere la controversia all'arbitrato degli ufficiali del comune di Bologna (83). Il podestà e la sua famiglia erano stati obbligati alla fuga in seguito a una rivolta urbana, e avevano lasciato a Imola tutti i loro effetti personali dei quali chiesero la restituzione (84). Il lodo del podestà di Bologna è dell'aprile del medesimo anno (85).
Nel maggio 1292 quando aveva assunto la podesteria il conte Bernardino di Cunio (86), gli Alidosi attaccarono Imola; Imola allora fu aiutata dall'esercito bolognese (87). Gli Imolesi riuscirono a occupate le fortezze di Montecatone e Linaro e furono per questo scomunicati dal rettore della provincia di Romagna (88). L'iniziativa imolese volta essenzialmente all'assoggettamento del contado conobbe un discreto anche se breve successo: nel giugno del 1292 infatti diverse comunità del contado si assoggettano alla giurisdizione imolese (89). Le paci fra tali comunità e Imola furono redatte nel maggio 1293 (90). Nell'agosto di quell'anno durante la podesteria di Bitino di Dionisio, Lippo degli Alidosi era ancora detenuto in carcere e fu consegnato ai Bolognesi (91). Fu così che nel luglio dell'anno successivo Ildebrandino conte di Romagna revocò al comune di Bologna l'autorità di custodia sulla città e sul distretto di Imola, sul contado e sulla terra di Medicina, avocandole alla diretta giurisdizione della curia provinciale (92).
Fu nel novembre del '94 che si giunse a una pacificazione fra la città e la curia pontificia: Guido de' Malavolti rinunciò a portare a termine la sua podesteria a Imola iniziata il primo di luglio dello stesso anno (93) e il conte di Romagna Roberto di Cornay assolse i Sassatelli e altri di Imola (94) - la parte ghibellina, si intende - dopo che dal mese di settembre era stato invitato a fare ciò in qualità di nuovo rettore di Romagna da papa Celestino V (95).
Ma è soltanto alla metà degli anni novanta del Duecento che le parti in città appaiono formalizzate in due societates armarum (96), la società guelfa di san Martino e quella ghibellina di san Donato. Le societates artium sono attestate invece già dal 1272 (97). Sorte in epoca ormai tarda, le società d'armi di Imola non paiono una creazione spontanea della dinamica politica cittadina ma piuttosto l'importazione di modelli sviluppatisi altrove, volti a inquadrare lo scontro politico in schemi riconoscibili dalle forze esterne alla città, attive nel territorio romagnolo.
Così, nel febbraio del 1295, il nuovo podestà di parte guelfa, Pellegrino de Simonpiccioli, fu eletto dal collegio degli Anziani, dai primicerii della società di san Martino, dai ministeriali delle società del popolo e dai consiglieri del consiglio generale del popolo (98); mentre nel 1298 quando Maghinardo Pagani, campione della parte ghibellina, divenne podestà e capitano del comune di Imola, fu affiancato nel governo della città dagli Anziani e dai priori e vessilliferi della società di san Donato (99). Nel 1301 Maghinardo è ancora capitano della città (100).
Nel febbraio 1305, mentre continuava a prevalere a Imola la parte ghibellina, l'apparato istituzionale del comune appare funzionare così: gli Anziani e il Capitano avevano l'autorità di convocare il consiglio generale del Popolo (ormai unica, nuova denominazione del consiglio generale del comune), composto di 136 membri, dopo aver ottenuto il consenso del priore e gonfaloniere della società dei Cinquecento di san Donato. Il consiglio convocato in tal modo aveva il compito di ratificare risoluzioni già approvate dai sapientes del consiglio della campanella piccola (101), la camera ristretta del comune. Nel maggio dello stesso anno invece furono il Capitano e difensore delle 10 arti del popolo, il priore e gonfaloniere della società dei Cinquecento di san Donato e gli Anziani a essere convocati in riunione unitaria dal Capitano della città e del popolo per una questione specifica (non si trattava di un'assemblea ordinaria) (102). Le società delle arti, la prevalente societas armarum e il Popolo che a queste date viene identificato tout court con la città, appaiono dunque coordinati in un sistema istituzionale complesso, controllato comunque dalla parte politica prevalente attraverso la propria società delle armi.
Ma ormai la prevalenza ghibellina volgeva al termine; nel giugno del 1305 fra il conte della provincia di Romagna e la città di Imola si addivenne a un trattato composto da diversi capitoli che sancì l'affermarsi del dominio pontificio in città (103). La svolta comportò l'esclusione dalle cariche istituzionali del comune di coloro che si erano compromessi col passato regime: nell'ottobre 1305 fu infatti emanata una disposizione dal consiglio generale del popolo di Imola, radunato dal Capitano e dagli Anziani, col consenso del priore e del gonfaloniere della società dei Cinquecento di san Donato, una disposizione già ratificata dai sapienti del consiglio della campanella piccola - che prevedeva che nessuno che fosse stato di parte ghibellina sin dal 1296 o che non fosse iscritto alla "nuova" società di san Donato, ricostituita nel passato mese di gennaio, potesse ricoprire alcuna carica nel comune (104).
Non terminarono però con il trattato gli scontri fra le partes; nel primo semestre del 1311 uno scontro armato provocato dalle disposizioni per la compilazione di un nuovo estimo emanate a febbraio (105), si risolse con una nuova completa emarginazione dei ghibellini dal governo della città. Nell'aprile del 1311 i disordini comportarono la sospensione di validità di numerose rubriche degli statuti allora vigenti e che, come è noto, non sono giunti sino a noi, menzionate una per una, relative alle norme sull'elezione del podestà e dei consigli. La sospensione fu decisa da tre diverse riformagioni del consiglio della campanella piccola (106). Nel medesimo giorno si decise la riconferma per i sei mesi successivi del podestà, capitano e gonfaloniere Francesco de Ripatransone: la procedura prevedeva che la decisione fosse presa dal collegio degli Anziani e dei Sapientes iuris, approvato dal consiglio della campanella piccola composto da 61 membri, e ratificato infine dal consiglio generale del popolo composto da 253 membri (107).
Nell'ottobre dello stesso anno il consiglio generale del popolo di Imola, composto da 105 membri, radunato dal Capitano e dagli Anziani, approvò una risoluzione - già ratificata dagli Anziani e dai sapienti del consiglio della campanella piccola - che prevedeva che nessuno di parte ghibellina che aveva lasciato la città il 10 di luglio potesse rientrarvi (108).
Il cambio di regime è attestato anche dalla presenza di nuove magistrature e da nuove procedure consiliari: nel novembre 1311 il consiglio generale del popolo di Imola, composto di 130 membri, radunato dal capitano e dagli Anziani col consenso del vessillifero della società dei Seicento di san Martino, approvò una risoluzione - già ratificata dagli Anziani e dai sapienti del consiglio della campanella piccola - che disponeva che essendosi vendute solo 400 corbe di sale delle 3.000 acquistate, fosse nominato dagli Anziani un gruppo di sapienti che provvedessero alla distribuzione del sale in avanzo ai guelfi e ai ghibellini secondo la loro posta d'estimo (109). Due giorni più tardi il gonfaloniere della società dei Seicento di san Martino, il consiglio degli Anziani e i 6 sapienti eletti quel giorno stesso decisero le modalità di distribuzione del sale in eccesso: 1.600 corbe furono assegnate ai ghibellini, e divise in proporzione diretta con la posta d'estimo di ciascuno; 833 ai guelfi, da dividersi secondo i medesimi criteri. Furono eletti inoltre 12 collettori e 12 notai, uno per ciascuna contrada (110). Pare trattarsi insomma dell'imposizione di una sorta di colletta straordinaria e forzata, il cui carico fu ripartito in maniera ineguale, in base a un criterio di appartenenza politica, e che colpì duramente gli uomini della società di san Donato. L'emarginazione politica della parte ghibellina si evince anche dalla nuova compilazione delle matricole delle arti, rinnovate nel 1312 come gli estimi (111): vi sono elencati infatti soltanto gli uomini iscritti alla società d'armi di san Martino.
La signoria Alidosiana
Dopo un primo tentativo fallito alla fine degli anni ottanta del Duecento, la famiglia Alidosi riuscì a impadronirsi della città con Lippo nel 1334. Così come i suoi antecessori egli usò lo strumento istituzionale del capitanato del popolo per imporsi in città lasciando formalmente intatte le magistrature comunali. Egli avrebbe dovuto occupare la carica per cinque anni ma fu poi gli fu rinnovata implicitamente fino a che papa Benedetto XII (1341-1346) lo riconobbe vicario generale della Chiesa a Imola. L'affermarsi del dominio signorile comportò un riordinamento complessivo dell'apparato istituzionale e amministrativo della comunità. L'attestazione documentaria di maggiore rilievo è senz'altro costituita dalla redazione statutaria del 1334: non conosciamo redazioni anteriori che furono obliterate dalla nuova compilazione, né ce ne furono successivamente di così organiche. Se agli inizi del Cinquecento con l'affermarsi del dominio pontificio diretto a Imola decaddero le norme del primo libro sulle magistrature, pure la legislazione statutaria nel suo complesso non fu più riscritta. Le fasi del dominio alidosiano sulla città di Imola sono state in tempi recenti studiate e analizzate con grande cura e dettaglio (112) e a tale ricerca si rimanda; nel profilo che qui si presenta appare utile soltanto sottolineare come nell'archivio della comunità durante tutto il Trecento, le fonti testimoniano l'effettivo funzionamento della norma statutaria anche se solo per lacerti: si sono conservati infatti i registri dei podestà degli anni '68 e '69, momento in cui in città si fece sentire un malcontento popolare vistoso contro il dominio alidosiano, oppure i registri del massaro attinenti ad altri momenti di scontro. Rispetto ai fini per i quali si propone questo profilo delle vicende storiche imolesi basta dunque osservare che dopo il 1334 la documentazione non evidenzia alcun tipo cambiamento nelle forme di governo e di amministrazione della comunità imolese: le vicende belliche, gli scontri che gli Alidosi dovettero sostenere per conservare il loro dominio non giunsero dunque mai a incidere sulle pratiche di governo in città e nel suburbio.
I Manfredi e i Riario-Sforza
Un discorso in parte analogo si potrebbe fare sulla signoria dei Manfredi a Imola (113). È un fatto però che, dopo gli anni settanta del Trecento e per tutto il secolo successivo, la consistenza numerica della documentazione dell'Archivio di Imola cala di in modo vistoso. Come il comune nelle sue varie fasi, così anche la signoria alidosiana costituì un regime interno alla città; le vicende invece che dal 1424 in avanti videro assegnare Imola ai Visconti, ai Manfredi e poi ai Riario-Sforza, allontanarono progressivamente i centri decisionali dall'ambito strettamente urbano. Le serie delle magistrature cittadine - che pure continuarono a funzionare - non si sono conservate e gli atti di governo sono rintracciabili negli archivi sforzeschi di Milano e Napoli.
La soggezione della città allo Stato pontificio
Girolamo Riario fu ucciso a Forlì nel 1488. Il governo della città passò al figlio Ottaviano, ancora minore di età e soggetto pertanto alla tutela della madre Caterina Sforza. Nella condizione di debolezza dell'autorità signorile si riaccesero le lotte interne alla cittadinanza fra i due principali schieramenti che vedevano da un lato i cosiddetti "ghibellini" Codronchi, Vaini e Pighini, dall'altro i "guelfi" Sassatelli e Calderini. Le contrapposizioni cittadine si correlavano alle strategie politiche delle potenze europee che, alla fine del secolo XV, si scontrarono aspramente alla ricerca di un nuovo, generale equilibrio. A Milano Gian Galeazzo Sforza era stato spodestato dallo zio Ludovico il Moro che si era in tal modo direttamente contrapposto ai Medici e al re di Napoli Ferdinando. Caterina Sforza si schierò con il re di Napoli Alfonso II e con papa Alessandro VI contro il re di Francia Carlo VIII disceso in Italia nel 1494 per conquistare il regno di Napoli e che godeva dell'appoggio di Ludovico il Moro. In Romagna i francesi conquistarono facilmente la rocca di Mordano: Caterina Sforza allora cercò un'alleanza con loro tramite lo zio Ludovico.
Tale fatto insieme a un pretesto - il mancato versamento di alcune tasse - indusse il pontefice a inviare in Romagna il figlio Cesare Borgia. Il Valentino entrò a Imola il 24 novembre 1499. Gli prestarono formale atto di sottomissione anche le rocche del contado; infine cadde Forlì. Mentre Caterina Sforza e i figli si rifugiarono a Firenze, Cesare Borgia fu nominato dal pontefice reggente di Imola. Il tentativo di Cesare Borgia di assoggettare l'intera Romagna fallì - come è noto - al momento della morte del padre, papa Alessandro VI, il 18 agosto del 1503.
Seguì a Imola un anno di disordini: le fazioni si divisero in modo non sempre coerente fra chi, da un lato, premeva per un ritorno in città del figlio di Girolamo Riario, Ottaviano, e chi, dall'altro, voleva a capo della città Giovanni Sassatelli il quale, infine, ottenne dal papa il riconoscimento della legittimità della cacciata dalla città dei Vaini e dei loro compagni di parte e fu dichiarato Capitano generale di Santa Chiesa e primo cittadino di Imola. Tale riconoscimento, compreso nel testo della Bolla d'Oro (1504), determinò l'inizio del dominio diretto della S. Sede su Imola che durò - con le brevi interruzioni determinate dal governo repubblicano francese - fino al 12 giugno 1859.

La cesura cronologica che si è scelta per determinare il fondo antico dell'Archivio Storico comunale di Imola coincide pertanto con gli anni che vanno dal 1504 al 1507 (114). Papa Giulio II il 4 novembre 1504 emanando la Bolla d'Oro cambiò il volto istituzionale della città: come nelle altre città di Romagna si stabilì una diretta dipendenza della comunità dalla Sede Apostolica, dipendenza che si attuava attraverso l'istituzione di un governatore nominato ogni anno direttamente da Roma e residente in città e attraverso la trasformazione del consiglio cittadino in un organismo non elettivo, composto dapprima di 150 e infine, dopo il 1534, da 60 membri che conservavano la carica a vita e potevano trasmetterla ereditariamente ai loro discendenti diretti.
Governatore e consiglio ebbero con la bolla l'incarico di redigere nuovi statuti. Il collegio compilò ex novo in realtà solo il libro I, quello che dettava le norme in materia istituzionale e amministrativa. Le nuove disposizioni furono approvate dal pontefice il 1° marzo 1507. I 60 membri del consiglio erano suddivisi in 12 ballotte da 5 consiglieri l'una; ogni bimestre, secondo un ordine stabilito per sorteggio, una singola ballotta veniva a ricoprire il ruolo di Magistrato. Col termine Magistrato si designava dunque il collegio cui era deputato il governo amministrativo della città. Tale collegio - formato si è detto da una ballotta ossia 5 consiglieri - era costituito da quattro conservatori e da un gonfaloniere. Non tutti i consiglieri poteva accedere alla carica di gonfaloniere: la designazione dei gonfalonieri era attuata ogni due anni dal consiglio che eleggeva in quella occasione i 12 gonfalonieri del biennio a seguire, scegliendo solo fra i consiglieri in possesso di titoli accademici, (con una specifica preparazione giuridica, si immagina) (115). Le edizioni degli statuti a stampa (1587-1751) permettono di riscontrare come non siano mai intervenute modifiche istituzionali nel governo della comunità prima della Rivoluzione Francese.

Note
(1) ASCI, Pergamene, I, n. 3. Secondo originale in ASCI, Pergamene, I, n. 4; copie autentiche in ASCI, Libro Rosso, c. 55 e in ASCI, Pergamene, I, n. 5. Copia parziale in ASCI, Pergamene, I, n. 1. Il documento è pubblicato in Ch. Im., II, n. 731, pp. 306-308.
(2) L'evoluzione istituzionale del primo comune è stata tratteggiata da ALVISI 1909; lo studio fu oggetto di una dura recensione di Gioachino Volpe: cfr. VOLPE Recensione, pp. 79-83. In tempi più recenti se ne è occupata FASOLI 1982 e da ultimo VASINA 2001a.
(3) ASCI, Pergamene, I, n. 12. Del documento esistono due copie autentiche in ASCI, Pergamene, I, n.13 e in ASCI, Libro Rosso, c. 56r. Il documento è pubblicato in ALBERGHETTI, I, 107; SAVIOLI, I/II, n.124; Ch. Im., II, n. 739, pp. 319-320.
(4) Sul ruolo della pieve e sulle sue funzioni nella prima età comunale cfr. PADOVANI 2002.
(5) Su "Imola città tripartita" cfr. MONTANARI 1994.
(6) 1151 marzo 3 (ASBo, Registro Grosso, I, cc. 15v-16r edito in SAVIOLI, I/II, n. CXLV, pp. 224-225).
(7) Il documento di soggezione a Bologna fu redatto il 30 marzo 1154 a Casola Canina (ASBo, Registro Grosso, I, cc. 16v-17r). Sul trattato cfr. RABOTTI 1959.
(8) ASCI, Pergamene, I, n. 42; FICKER 1869, Vierter Band, n. 221, pp. 273-274. In regesto MANCINI 1990, II/I, p. 168.
(9) RABOTTI 1964.
(10) ASCI, Pergamene, I, n. 44; copia autentica in ASCI, Libro Rosso, cc. 15r-v. Èregestato da MANCINI 1990, II/I, p.117-118. Inoltre è il podestà che presenta istanza all'imperatore Ottone IV per ottenere a nome della cittadinanza conferma di tutti i beni e delle giurisdizioni del comune: ASCI, Pergamene, I, n. 45; copia autentica ibid., n. 46; ediz. FICKER, n. 240.
(11) ACI, V, n. 67 (1210 dicembre 9), pubblicato in Ch. Im. 2, n. 60.
(12) Cfr. LAZZARI 2003.
(13) Cfr. ASCI, Libro Rosso, c. 16r-v.
(14) CCB, vol. II, Cronaca C, a p. 90 (a. 1225).
(15) HUILLARD-BRÉHOLLES, II/2, p. 706: "Messanae, 13 januarii, XV indictione. Fridericus Romanorum imperator, universis comitibus, baronibus et communitatibus Romaniolae mandat ut ad restaurationem civitatis Imolae consilio et effectu ipsi contribuere debeant". La lettera è trascritta in MANZONIUS, p. 177).
(16) Sui podestà di designazione imperiale attestati a Imola dagli anni Venti in avanti cfr. GUYOTJEANNIN 1994, pp. 116, 119, 121, 123, 127 ; VASINA 1996, pp. 420-21, nota n. 71; FERRI-PADOVANI 1998, p. 18 Dalle fonti imolesi conservate nell'Archivio Storico comunale si possono precisare alcune attestazioni: nell'anno 1239 podestà di Imola era Gerardus Burdilionis cui dicitur Cavatorta (ASCI, Libro Rosso, c. 1r);
(17) RABOTTI 1964 e GALASSI 1984, pp. 361-429.
(18) MONTANARI-LAZZARI 1997, pp. 124-131.
(19) Sulla politica urbanistica dei sovrani normanni nell'Italia meridionale cfr. DELOGU 1979.
(20) LAZZARI 2003, pp. 45-48.
(21) Sulla presenza a Imola di un castrum imperatoris la cui costruzione deve essere attribuita all'iniziativa di Federico II cfr. LAZZARI 2001.
(22) HESSEL 1975, pp. 118-119.
(23) CANTINELLI, p. 7, rr. 19-24: "Eo vero anno [1254] pars Mendullorum de Imola fuit expulsa a parte Briciorum et infra octo dies statim ançiani et consules comunis Bononie iverunt Imolam et fecerunt redire partem Mendullorum ...".
(24) Rotolo in pergamena che contiene copia autentica di sette documenti rogati fra il 5 luglio 1254 e il 9 aprile 1255. Si tratta di copie autentiche eseguite dal medesimo notaio Francesco del fu Jacopo di frate Bonaventura negli anni ‘90 del Duecento "hoc feci auctoritate mihi concessa per reformationem consillii populli civitatis Ymole", dalle "rogationibus et abreviationis condam Çançi Petri iudicis notarii". Il rotolo è conservato in Bim, Ms. Imolesi, n. 256, con segnatura A, B6, 10 (13). Sul tergo c'è una sola nota dorsale che consta di un regesto poco leggibile per scoloritura inchiostro e una nota della stessa grafia: "Regalatomi dal Sig. Domenico Avesali li 21 settembre 17[81]". Infatti nel rotolo la citazione del progenitore (?) Oradinus Avenale sembra riscritta su lieve rasura.
(25) Ibid.: "in ecclesia Sancti Cassiani, ... ad honorem et bonum statum comunis Bononie et ad honorem et bonum statum comunis Ymole".
(26) ASCI, Pergamene, II, n. 24; ne esistono due copie imitative sempre del XIII secolo conservate in ASCI, Pergamene, II, nn. 25 e 26 e una copia autentica in ASCI, Libro Rosso, fol. 45v.
(27) ASCI, Pergamene, II, n. 33.
(28) ASCI, Pergamene, II, n. 56.
(29) ASCI, Pergamene, II, n. 58.
(30) ASCI, Pergamene, II, n. 88.
(31) CCB, Cronaca Villola, pp. 159-160.
(32) CCB, Cronaca B, pp. 159-160.
(33) CCB, Cronaca Villola, pp. 159-160.
(34) ASCI, Pergamene, II, n. 61. Nell'archivio del comune di Imola il documento si conserva in copia autentica non datata; la stessa riformagione non è datata. La datazione proposta è quella indicata da CORTINI, III, pp. 195-196.
(35) La rubrica del X libro degli statuti del comune di Bologna è intitolata "De duabus potestariis comitatus Ymole". La rubrica citata corrisponde, nell'indice degli Statuti di Bologna (1245-1267) pubblicati dal Frati alla rubrica CII.1 del libro X: "Quod due potestarie debeant esse in comitatu Ymole" (52-67). Sembra una variante dei codici del 1252 e del 1257 che però non è pubblicata. Sul comune del contado di Imola cfr. CORTINI 1925.
(36) ASCI, Pergamene, II, n. 60.
(37) ASCI, Pergamene, II, n. 69.
(38) ASCI, Pergamene, II, n. 33bis.
(39) ASCI, Pergamene, II, n. 95.
(40) ASCI, Pergamene, II, n. 100.
(41) Cfr. Appendice 1 a questo inventario: Elenco dei podestà, vicari, rettori e capitani del Popolo (1153-1334).
(42) ASCI, Pergamene, II, n. 146.
(43) ASCI, Pergamene, III, n. 6.
(44) CANTINELLI, pp. 160-161.
(45) ASCI, Pergamene, III, n. 75.
(46) ASCI, Pergamene, III, n. 88.
(47) ASCI, Pergamene, III, n. 90.
(48) ASCI, Pergamene, III, n. 91.
(49) ASCI, Pergamene, III, n. 94.
(50) Cfr. la tesi di laurea BABINI 2000-2001.
(51) ASCI, Pergamene, III, n. 96.
(52) In FERRI- PADOVANI 1998, elencato a p. 20 col nome Guidestus de Ponte Carali de Brixia, senza rimando documentario; l'attestazione è derivata da BALDISSERRI, vol. I, p. 264 e da FRANCHINI 1934, pp. 295-324.
(53) ASCI, Pergamene, III, n. 108.
(54) ASCI, Pergamene, III, n. 122.
(55) MGH, Constitutiones, p. 80 e segg.
(56) Cfr. soprattutto ASCI, Pergamene, III, n. 131 copia autentica coeva tratta da un "quaterno reformationum consilii generalis populi civitatis Ymole".
(57) ASCI, Pergamene, III, n. 130.
(58) ASCI, Pergamene, III, n. 130.
(59) ASCI, Pergamene, III, n. 139.
(60) ASCI, Pergamene, III, n. 137.
(61) ASCI, Pergamene, III, n. 138.
(62) ASCI, Pergamene, III, n. 136, 137 e 138.
(63) Cfr. rispettivamente ASCI, Pergamene, III, n. 146 e 145.
(64) ASCI, Pergamene, III, n. 147.
(65) ASCI, Pergamene, III, n. 150, 156, 157.
(66) ASCI, Pergamene, III, n. 151, 152.
(67) ASCI, Pergamene, III, nn. 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182, 183.
(68) ASCI, Pergamene, IV, n. 4.
(69) ASCI, Pergamene, IV, n. 11.
(70) PADOVANI 1997b, p. 14.
(71) ASCI, Pergamene, IV, n. 12.
(72) ASCI, Pergamene, IV, n. 20.
(73) ASCI, Pergamene, IV, n. 9.
(74) ASCI, Pergamene, IV, n. 22.
(75) ASCI, Pergamene, IV, nn. 24 e 25.
(76) PINI 1976 e ASCI, Pergamene, IV, nn. 32, 37, 39.
(77) Cfr. per es., ASCI, Pergamene, IV, n. 65 e XIII, n. 18.
(78) Vedi la vicenda dell'elezione e della ricusazione con la conseguente lunga controversia fra il comune di Imola e il ferrarese Tommasino de Bochempanis: ASCI, Pergamene, VI, nn. 55, 56, 73, etc.
(79) ASCI, Pergamene, VI, n. 84.
(80) ASCI, Pergamene, VI, n. 96.
(81) ASCI, Pergamene, VI, n. 98.
(82) La podesteria è attestata in ASCI, Pergamene, VI, n. 101.
(83) ASCI, Pergamene, VI, n. 103.
(84) ASCI, Pergamene, VI, nn. 106, 107, 108, 109, 110.
(85) ASCI, Pergamene, VI, n. 113.
(86) ASCI, Pergamene, VI, n. 115.
(87) ASCI, Pergamene, VI, n. 114.
(88) ASCI, Pergamene, VI, n. 117.
(89) ASCI, Pergamene, VI, nn. 100 e segg.
(90) ASCI, Pergamene, V, nn. 7 e 8.
(91) ASCI, Pergamene, V, nn. 11 e 14.
(92) ASCI, Pergamene, V, n. 35.
(93) ASCI, Pergamene, V, n. 40.
(94) ASCI, Pergamene, V, n. 42 e segg..
(95) ASCI, Pergamene, V, nn. 36, 38, 39, 58 e 59.
(96) Sulle societates imolesi l'unica trattazione specifica rimane quella di FASOLI 1936, sia pure condotta insieme a considerazioni più ampie che riguardano il problema in tutte le città romagnole. La Fasoli riteneva che a Imola si trovassero società armate di popolo già dalla metà del secolo XIII; intitolate a san Martino, san Donato e san Michele, partecipavano al governo della città e avevano ordinamenti da mettersi probabilmente in rapporto con gli analoghi ordinamenti bolognesi. Dall'analisi delle fonti appare invece che la formalizzazione del "popolo" di Imola in societates avvenne solo alla fine del Duecento.
(97) ASCI, Pergamene, III, n. 94; VI, n. 61.
(98) ASCI, Pergamene, V, n. 60.
(99) ASCI, Pergamene, V, n. 79.
(100) ASCI, Pergamene, VI, n. 4.
(101) ASCI, Pergamene, VI, n. 22.
(102) ASCI, Pergamene, VI, n. 2.
(103) ASCI, Pergamene, VI, nn. 24 e 25.
(104) ASCI, Pergamene, VI, n. 26.
(105) ASCI, Pergamene, VI, n. 35.
(106) ASCI, Pergamene, VI, n. 37.
(107) ASCI, Pergamene, VI, n. 38.
(108) ASCI, Pergamene, VI, n. 45.
(109) ASCI, Pergamene, VI, n. 49.
(110) ASCI, Pergamene, VI, n. 50.
(111) ASCI, Pergamene, VI, nn. 60 e 61.
(112) Cfr. VASINA 2001b.
(113) FILIPPINI 1913.
(114) Seguiamo in queste righe le indicazioni che risultano dallo studio di FERRI 1998.
(115) L'unico studio specifico sulla struttura istituzionale del governo a Imola nel XVI secolo è la tesi di laurea di CASAZZA 1991-1992.

storia archivistica
Prima degli Statuti: la documentazione delle magistrature comunali e l’archivio nel Duecento
Non si sono conservate redazioni statutarie anteriori al 1334, anche se la loro esistenza è più volte documentata nei documenti conservati.
Non sono rimaste serie documentarie coerenti prodotte dalle magistrature comunali prima del secolo XVI, ma tracce della loro attività e della loro produzione e conservazione documentaria si possono cogliere in diverse carte raccolte nei fondi miscellanei conservati attualmente nell’Archivio storico comunale, tracce che consentono di ricostruire un quadro siappure frammentario dell’organizzazione documentaria del comune antecedente il 1334: alcune sono copie autentiche tratte da registri duecenteschi, altre contengono menzioni esplicite di altri documenti coevi.
Dal 1334 in poi è però possibile ricostruire l’attività documentaria delle diverse magistrature comunali grazie alle norme dettate nel primo libro degli Statuti, che trovano preciso riscontro nella documentazione, pure in mancanza, come si è detto, di serie coerenti.

Le raccolte normative: gli statuti
Tracce delle redazioni antecedenti al 1334
La prima e unica redazione statutaria imolese conservata per intero risale al 1334, il momento in cui in città si affermò la signoria degli Alidosi. Serafino Gaddoni che curò l’edizione di tale testo normativo, riteneva che esso si basasse per gran parte su una redazione precedente, sicuramente anteriore al 1270 (1). E, in effetti, nella documentazione conservata nell’Archivio storico comunale di Imola, restano numerose testimonianze di diverse redazioni statutarie compilate prima del 1334 ma, contestualmente, scarsissimi resti di tale produzione. 
Le vicende storiche della città di Imola nel corso del Duecento mostrano che il regime istituzionale della città subì diversi cambiamenti ognuno dei quali fu segnato da relative modifiche della normativa.
Sin dal 1209 - il momento in cui a Imola si affermò definitivamente l’istituto podestarile - è attestata l’esistenza del sequimentum potestatis (2), il giuramento dovuto dalla cittadinanza al podestà, che nelle città dell’Italia centro-settentrionale costituiva la base delle prime compilazioni statutarie. Dal 1210 è poi documentata l’esistenza di un vero e proprio statutum civitatis (3).
Durante tutto il corso del Duecento si trovano indicazioni più o meno puntuali nella documentazione relative a diverse fasi di revisione degli statuti e al loro uso.
Nel maggio del 1222 (4) il comune di Imola stipulò un contratto con un magister lignaminis che doveva costruire per il comune tortorelle e simili macchine da guerra. In cambio l’artigiano ottenne uno stipendio, una casa e una vigna e la completa esenzione dagli oneri di cittadinanza e cioè dalle collette, dai laboreriis e dalle guardie. Al contratto fu aggiunta una sorta di postilla, redatta il 27 giugno, quindi appena due mesi dopo: si aggiunsero due condizioni: a) nel caso la vigna fosse stata “incisa” per motivi di ritorsione, i danni sarebbero stati a carico del comune di Imola; b) il maestro non sarebbe stato soggetto ad alcuno statuto facto vel in anima faciendo sui magistri lignaminis di Imola e che nessuno statuto avrebbe potuto o dovuto mutare in alcun modo i privilegi materiali che aveva ottenuto. Il documento - visto il breve intercorrere di tempo fra la redazione e la postilla - potrebbe costituire una traccia della messa in cantiere di un aggiornamento della normativa statutaria in quegli anni.
Dieci anni dopo, il 4 febbraio 1232 (5), il comune di Imola stipulò un altro contratto d’opera e di cittadinanza con un magister lignaminis, un contratto che fu esplicitamente regolato da tre norme statutarie, citate una per una e due integralmente trascritte nel testo. Tali norme erano:
- lo statuto de novis civibus: “Si quis venerit ad habitandum civitatem Ymole et emerit domum et eam continue".
- lo statuto de feudo magistrorum: “Magister lignorum a kalendis madii usque ad festum sancti Michaelis de mense septembris non debeat accipere in diem ultra ii solidos bononinorum et a festo Sancti Michaelis usque ad kalendas madii xxi denarios. Magister vero maior murorum non debeat accipere in diem ultra xxi denarios. Magister vero minor qui per duos annos vel ultra steterit ad magistrum non debeat accipere in die ultra xvi denarios. Hanc mercedem habeant et percipiant victualia set tam magister quam discipulos non debeant habere conestionem in dominis diebus ab illis quibus in precedenti ebdomada laboraverint”.
- lo statuto De summis: “Item nullus magister maior vel minor, murorum seu lignorum vel discipulus debeat facere summa de aliquo opere faciendo aut de victualibus cum aliquo de civitate vel districtu Ymole et si quis contra fecerit potestas teneatur sacramento auferro sibi prestato x libras bononinorum et omnes scientes aliquem magistrum vel discipulum summa fecisse, sacramento teneatur eum acusare”.
Negli anni Cinquanta e Sessanta del Duecento, quando a Imola si andava affermando con sempre maggiore incidenza sulle istituzioni cittadine il dominio di Bologna, alcune riformagioni statutarie furono disposte e approvate dal consiglio generale del comune su proposta della magistratura degli Otto consoli del popolo e dei sette sapienti. Così nel 1259 il consiglio generale della città fu chiamato ad approvare una riformagione statutaria disposta dagli Otto consoli del popolo e da sette sapienti (6) e il 24 settembre 1264 un aggiornamento di una norma statutaria fu letta in consiglio dagli Otto consoli del popolo coadiuvati da sette sapienti (7). Le fonti non consentono di sapere se tali disposizioni andavano ad aggiornare gli statuti degli anni Trenta o se intervenivano su una redazione più recente. 
Menzione esplicita di una nuova redazione statutaria risale all’anno 1269, al tempo in cui Imola era direttamente assogettata a Bologna con il sistema della podesteria doppia, ossia quando il podestà bolognese governava sia su Bologna, sia su Imola attraverso un vicario, un sistema attestato dalle fonti per il periodo compreso fra il 1265 e il 1273. Nel 1269 dunque, sotto la podesteria di Alberto da Fontana, quando vicario del podestà bolognese a Imola era tale Folco Radino, fu compilata una nuova redazione degli statuti per volontà degli Anziani del popolo bolognese come attesta l’incipit del Libro Rosso (8). In quell’anno dunque il governo bolognese decise una profonda riorganizzazione degli istituti imolesi: oltre alla redazione degli statuti fu ordinata una nuova compilazione del liber iurium della città, una nuova compilazione che non fu mai completata (9), dato che il dominio bolognese su Imola terminò di lì a poco, nel 1273. La diretta dipendenza politica da Bologna lascia presumere che la compilazione statutaria del 1269 mutuasse gran parte della normativa da quella della città dominante.
Ancora nello stesso anno, il 1269 (10), in una riformagione del consiglio del comune di Imola che faceva seguito a una denuncia, si menzionano esplicitamente le due norme statutarie in base alle quali fu emanata la disposizione: si trattava della rubrica del libro V degli Statuti intitolata De dapno furtive dato a comuni emendando e della rubrica del libro I De hominibus elligendis ad designandos confines villarum. A quella data dunque gli Statuti imolesi contavano almeno cinque libri, dei quali il quinto relativo alle norme sui danni dati.
Negli anni Settanta due documenti conservano tracce di normativa statutaria: nel 1271 il consiglio dei 12 anziani del popolo convocò un consiglio generale e sottopose all’approvazione dell’assemblea una nuova norma statutaria relativa alla manutenzione del canale dei mulini (11). E nel 1277, sotto la podesteria di Bitino condam Dionisii de Blatisiis un consiglio di sapienti emise provvigioni sopra la gabella di Imola (12).
Per gli anni Ottanta del Duecento si conservano due ulteriori testimonianze della produzione normativa imolese: nel 1282 (13) dal libro degli statuti fu tratta una copia autentica di tre rubriche relative agli impegni del comune nei confronti del culto di san Cassiano; la copia è stata conservata nell’Archivio capitolare di S. Cassiano. Fra il 1284 e l’aprile 1285 tre ufficiali del comune incaricati dagli Anziani, secondo le disposizioni degli Statuti, compirono una ricognizione sulle proprietà boschive del comune di Imola che si trovavano nei letti dei fiumi Sillaro e Santerno (14).
Da queste date e fino a tutto il primo decennio del Trecento la documentazione tace. Quando, nel 1311, la parte ghibellina fu espulsa dalla città dopo i disordini dovuti a una nuova redazione degli estimi, la parte guelfa decise un cambio di regime istituzionale che comportò la sospensione di validità di numerose rubriche degli Statuti, menzionate una per una, tutte relative alle norme sull’elezione del podestà e dei consigli. La sospensione fu decisa da tre diverse riformagioni di un consiglio ristretto, detto “della campanella piccola” (15).
Per quanto attiene al periodo in cui Imola, insieme con tutta la Romagna, fu assogettata al governo di Roberto d’Angiò, sono conservate copie delle “Constitutiones” relative alle procedure giudiziarie emesse nel 1315 da Diego de Larat, conte di Caserta, camerario del regno di Sicilia, della provincia di Romagna etc. (16). Del medesimo anno si conserva l’ordine degli anziani di redigere in forma autentica le constitutiones (17).
Infine, nel 1317, furono emanate dal podestà, dal capitano, dagli anziani e da un consiglio speciale di 24 sapienti, alcune riformagioni in merito alla custodia della città che furono trascritte in carta pergamena nel libro degli statuti della città (18).
Gli statuti del 1334
Fu soltanto nel 1334, quando la famiglia degli Alidosi istituì un solido e duraturo dominio signorile sulla città di Imola, che la produzione normativa della comunità si cristallizzò nella redazione degli statuti che è giunta sino a noi: si conserva un mandato di pagamento dell’ottobre 1334 in favore del notaio Pietro Roncinelli che aveva eseguito copie e sunti degli Statuti (19).
Il testo statutario che costituì la base normativa per i secoli a venire, era diviso in quattro libri: il primo dedicato alle magistrature, il secondo alla legislazione criminale, il terzo ai danni dati e il quarto e ultimo ai regolamenti urbanistici, e a norme varie.
La redazione originaria e le copie coeve sono attualmente perdute: tutti i codici che conservano il testo statutario risalgono almeno ai primi anni del XVI secolo. Tutti i codici riportano infatti, in calce al testo del 1334, i cosiddetti Decretorum civitatis Imole unicus liber quintus et ultimus: l’insieme dei decreti andò a costituire una sorta di quinto libro della redazione antica, che riformava il sistema delle magistrature e delle rappresentanze consigliari dopo la diretta soggezione della comunità imolese allo Stato pontificio. I decreti sono sempre accompagnati dalla copia dell’approvazione del cardinale Antonio da Monte datata 24 febbraio 1507, dalla copia del breve di Giulio II del primo marzo 1507 e infine dalla copia della Bolla aurea di Giulio II, testi che, raccolti insieme, sanciscono ufficialmente il cambio di regime della città.
Produzione normativa posteriore al 1507
Un pezzo fondamentale per ricostruire le vicende delle magistrature imolesi dopo la soggezione allo Stato pontificio è una raccolta di tutta la normativa sull’ordinamento istituzionale della Comunità posteriore al 1505, parte manoscritta, parte a stampa (20). Essa conserva i decreti che riformarono nel 1507 gli ordinamenti delle magistrature cittadine. La scrittura è quasi tutta di una sola mano che Romeo Galli attribuisce a Giovan Battista Pascoli, cancelliere della Comunità. Fra le ultime carte del codice si trova l’originale del breve di papa Giulio II datato primo marzo 1507 col quale si approvavano gli Statuti, breve trascritto in tutte le copie degli statuti posteriori al 1507.
Il codice pare dunque essere redazione coeva all’emanazione delle nuove norme. In seguito vi furono allegate le edizioni a stampa degli aggiornamenti della normativa relativa agli uffici del Gonfaloniere, del Magistrato e dei Conservatori della città. In specie, si tratta degli:
- Statuti decreti et ordini della città d’Imola concernenti e pertinenti all’Ufficio degl’Illustriss. signori Confalonieri e Magistrato de’ Signori Conservatori di detta città. E d’altri Ufficiali publici e salariati della Communità, in Bologna, per Giacomo Monti, 1647.
- Statuti decreti et ordini della città d’Imola concernenti e pertinenti all’Ufficio degl’Illustriss. signori Confalonieri e Magistrato de’ Signori Conservatori di detta città, in Imola per Giacinto Massa, 1674.
- Statuti decreti et ordini della città d’Imola concernenti e pertinenti all’Ufficio degl’Illustriss. signori Confalonieri e Magistrato de’ Signori Conservatori di detta città ..., in Imola per Carlo Giuseppe Massa, 1696.
- Statuti decreti et ordini della città d’Imola concernenti l’Uffizio del Magistrato, degl’Illustriss. signori Confalonieri di Giustizia e Conservatori ..., in Bologna per Giulio Rossi e Compagni, sotto le Scuole alla Rosa, 1715.
- Statuti decreti et ordini della città d’Imola concernenti l’Uficio del Magistrato, degl’Illustriss. signori Gonfaloniere di Giustizia e Conservatori ..., in Faenza pel Ballanti e Comp. Impressori del santo Uficio seccessori del Maranti, 1751. 
In questa raccolta manca solo un testo relativo all’ordinamento istituzionale della città: i decreti che riformarono nel 1584 le magistrature cittadine e che furono stampati nel 1587, il 30 luglio a Imola nella Stamperia Lorenzo Giannotti (21). 

Il fondo antico (secc. XI-XV) dell’Archivio storico comunale: profilo delle vicende di conservazione e di riordino
Medioevo e prima età moderna
Dato che non sono conservate le redazioni statutarie imolesi anteriori al XIV secolo (22), non si conoscono le norme che regolavano la produzione e la conservazione della documentazione pubblica per il periodo precedente al 1334. 
In diversi brani della documentazione superstite si trovano però tracce dell’organizzazione “archivistica” del comune ancora nel XIII secolo. L’attestazione più esplicita si trova nel Libro Rosso, il liber iurium del comune di Imola, dove si afferma che nel 1239 le diverse carte che documentavano i diritti patrimoniali e politici della comunità erano affidati alla cura e alla custodia di non meglio precisati boni viri (23).
Nella seconda metà del Duecento, durante il periodo che vide la soggezione diretta del comune di Imola a quello di Bologna, è attestata una regolare produzione documentaria delle diverse magistrature cittadine e una attenta conservazione delle carte che ne permetteva l’uso, la consultazione e la possibilità di estrarne copie autentiche, quelle stesse copie che - grazie alle dettagliate sottoscrizioni notarili - ci consentono oggi di conoscere l’esistenza di quell’organizzazione amministrativa. 
L’esistenza di un archivio del comune è attestata esplicitamente solo nell’ultimo decennio del Duecento, quando due notai imolesi richiesero al massaro il salario che era loro dovuto per il servizio reso presso la “sacrestia”, cioè l’archivio del comune (24). Gli statuti del 1334 disposero che sede dell’archivio comunale doveva essere la sacrestia dei frati minori (25).
Le vicende della conservazione degli atti pubblici e dei registri notarili da quella data al 1863 - anno in cui fu redatto il primo inventario (26) attualmente conservato - sono poco note: solo Romeo Galli nel 1898 ne tracciò un rapido profilo (27). 
Non si sa quando l’archivio lasciò la sacrestia dei Frati minori conventuali, ma è certo che alla fine del Quattrocento la documentazione del comune si trovava presso il convento dei Domenicani. Grazie alle ricerche di padre Serafino Gaddoni (28), sappiamo che il primitivo convento francescano si trovava fuori dalle mura urbane, in direzione Bologna, e che solo nel 1351 fu abbandonato e distrutto per resistere all’assedio estense. Gaddoni suppose che proprio in questo frangente l’archivio fosse stato trasferito presso i Domenicani. Nel 1359 si cominciò a costruire il nuovo convento francescano, questa volta entro le mura urbane, ma non esistono più attestazioni che al suo interno fossero conservati documenti del comune di Imola (29). 
Nella prima metà del Cinquecento, l’archivio fu trasferito nel palazzo del comune, in un primo tempo in una soffitta sopra le vecchie carceri, in seguito in stanze poste al secondo piano. Nell’archivio notarile di Imola è conservato un rogito del notaio Girolamo Cappucci (30) che attesta l’appalto dei lavori del nuovo archivio, concesso il 17 ottobre 1576 dai rappresentanti della comunità ai maestri carpentieri Fabrizio Ghini e Giacomo Galiani, i quali dovevano costruire, in base a disegni dati, scansie in legno di betulla o di abete.
Nella documentazione conservata attualmente nella serie Pergamene si rinvengono numerose note dorsali in grafia cinque-seicentesca che attestano una forma di ordinamento dell’archivio attuato in queste date. Se alcune note dorsali si riferiscono unicamente al contenuto dell’atto redatto sul recto, altre invece paiono esplicitamente carte di testa di fascicoli:
”Instrumenti spetanti alla Massa Lombarda”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 8;
”1303 Diversa instrumenta et scripturas. Consilia”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 14;
”+ questo rodotti fieno carte VIIII”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 19;
”1090-1304 Massa Lombarda”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 21;
”1305 Diversa Instrumenta”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 22;
”1305 Contra partem Ghibellinam. et alia instrumenta”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 26;
”Diversa solutionibus et similibus”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 29;
”Venditio salis et diversa consilia”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 30;
”Consilio et diversi”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 38;
”Diversa instrumenta”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 42;
”Ab anno 1218 usque ad annum 1290. Diversa acta et investiture Abb. S. Donati et Pauli, ASCI, Pergamene, VI, n. 62;
”Appellationis, et alia acta. Instrumenta usque ad annum 1326”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 69;
”Diversa instrumenta et acta”, Bim ASCI, Pergamene, VI, n. 75;
”Diversa instrumenta 1312”, Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 86;
”Varie Polizze di pagamenti dal 1334”, Bim, ASCI, Pergamene, XIII, n. 30;
”Disciptatio et acti[...] inter abbas SS. Donati et Pauli ...”, Bim, ASCI, Pergamene, VII, n. 51 e 52;
”consilium 1321 diversa alia instrumenta”, Bim, ASCI, Pergamene, VIII, n. 8;
”varia instrumenta. Alidosio Alidosi della Massa”, Bim, ASCI, Pergamene, VIII, n. 47;
”Diversa instrumenta”, Bim, ASCI, Pergamene, VIII, n. 95;
”1209 Iura Consilicis”, Bim, ASCI, Pergamene, X, n. 20;
”Ab anno 1359 usque ad annum 1380 varie concessiones et renovationem Terre Masse Lombardorum ad favorem Imolensium”, BIm, ASCI, Pergamene, XI, n. 7;
”Locatio gabellarum Masse facta per dominos de Alidosiis et alia instrumenta super facto Masse”, Bim, ASCI, Pergamene, XI, n. 15;
”Diversa alia instrumenta. N. 59”, Bim, ASCI, Pergamene, XI, n. 20;
”Sententia lata Ferarie inter Bononienses et Imolenses ... et alia diversa instrumenta”, ”Diversa acta”, Bim, ASCI, Pergamene, XII, n. 16;
”Diversa acta in quibus fit mentio comitis Cunii et aliarum”, Bim, ASCI, Pergamene, XI, n. 85.
Nel 1620 l’archivio - ma, a questo punto non si riesce più a capire se le notizie raccolte da Galli si riferiscano all’archivio pubblico o all’archivio notarile - fu infine annesso alla residenza dei notai, alloggiata nel medesimo palazzo comunale. Dal testo di Romeo Galli pare che, a partire da questa data, le vicende dell’archivio comunale e dell’archivio notarile abbiano preso strade distinte: conservati entrambi nel palazzo comunale dovevano però occupare stanze diverse ed essere soggetti a competenze d’ufficio differenti. Si desume dalla vicinanza fisica dell’archivio notarile alla residenza dei notai e dal fatto che nell’inventario del 1863 - l’attestazione è tarda ma è l’unica che abbiamo - nelle scansie dell’archivio pubblico non sono elencati i rogiti notarili.
Successive al 1620 sono poi le numerose disposizioni registrate nei Campioni del comune che intendevano far provvedere a un riordino dell’archivio della Segreteria Magistrale. Vi si conservavano i documenti più antichi che attestavano proprietà e diritti della comunità, i Campioni e gli Statuti. La prima esplicita disposizione volta a provvedere al riordino del patrimonio archivistico comunale risale al 27 novembre 1636 (31). 

Il Settecento

I primi decenni del Settecento videro un’accentuata attenzione della comunità nei confronti del problema archivistico. Nei primi anni del secolo si decise un primo lavoro di riorganizzazione dell’archivio pubblico e l’incarico di riordinarne la parte più antica fu affidato all’abate Antonio Ferri. Nel 1737 inoltre il Consiglio deliberò un primo ampliamento dell’archivio notarile e nel 1763 un secondo, ricordato da una epigrafe dipinta che al tempo di Galli si leggeva “sopra la porta d’ingresso, dalla parte interna”. La spesa del riordinamento e delle scansie fu in parte finanziata dai castelli del territorio imolese privi di un proprio archivio (32).
Il clima culturale dei primi decenni del Settecento, caratterizzato da un rinnovato interesse per la documentazione, non più intesa unicamente come strumento per attestare diritti ma anche come fonte storica, giustifica in larga misura l’insieme di queste attività di riordino e di ampliamento degli archivi pubblici imolesi. È necessario peraltro affiancare a tali motivazioni di ordine culturale anche esigenze più concrete: nel corso dei secoli XVI e XVII non vi erano stati interventi edilizi di rilievo nel palazzo pubblico, nonostante se ne avvertisse chiaramente l’esigenza. Agli inizi del Settecento però, molti spazi interni al palazzo erano ormai inagibili e la stabilità complessiva dell’edificio appariva compromessa (33): in previsione di interventi di ristrutturazione complessiva dell’edificio, attuati poi nella seconda metà del secolo, doveva apparire sempre più improcrastinabile un riordino dei materiali dell’archivio pubblico.

L’abate Ferri e le serie nuove

Nei primi anni del secolo XX, nel suo lavoro dedicato al comune di Imola nel secolo XII, Silvio Alvisi analizzava le fonti a disposizione e affermava (34) che la raccolta delle carte antiche ordinate da Ferri prendeva, “dentro l’Archivio, un nome speciale, il nome cioè di Segretaria o Segreteria o Pubblica Secretaria”. Alvisi citava quindi i pezzi della serie Pergamene sempre preceduti dalla dizione “Segreteria” e non Archivio comunale, per distinguere la serie dall’altro materiale antico ordinato in mazzi che si trovava nell’Archivio del comune. La testimonianza di Alvisi dimostra che l’abate Ferri fu chiamato a lavorare su un gruppo di carte che già costituivano un fondo a se stante nell’archivio del comune, l’archivio della “Segreteria”: nel 1713 Ferri portò a compimento parte del lavoro che gli era stato assegnato creando una serie detta Pergamene, tratta dalla documentazione della Segreteria. La nuova serie raccoglieva in ordine cronologico non solo atti sciolti e membranacei, come il titolo farebbe presumere, ma pure registri, vacchette, quaderni, anche su supporto cartaceo. Ferri compilò un "Sommario" di quella serie, che includeva anche menzione di alcuni atti trascritti nel Libro Rosso, il duecentesco liber iurium della comunità che Ferri aveva ricomposto, rilegato e indicizzato.
Egli seguì nel lavoro di ordinamento un criterio meramente cronologico, creando in tal modo una sorta di grande miscellanea dove è assai difficile distinguere eventuali fascicoli primitivi: non sono state rinvenute notizie che descrivano lo stato della documentazione precedente al suo intervento, tranne la breve testimonianza che Ferri stesso offre nel frontespizio del “Sommario”: “[la compilazione del Sommario sarà utile]... per rinvenire con tutta facilità, e prestezza sugl’Originali di dette Scritture fin’ora confusi, disordinati, e chiusi in rotoli, e poco men che ignoti, simili Notizie, e Prove per l’avanti quasi impossibili a ritrovarsi” . 
Non è chiaro così se il recupero e il riordino dei pezzi comportò il sistematico smembramento di serie o fascicoli preesistenti: in alcuni casi, come per esempio il caso del processo detto “della Massa” che contrappose nel 1465 Rengarda, vedova del marchese Carlo Gonzaga, e gli uomini di Massa Lombarda, si trova traccia - in annotazioni di Ferri stesso - dello smembramento di un corposo fascicolo in pezzi sciolti poi dispersi nell’ordine cronologico generale. Sulla copertina del pezzo n. 22 del mazzo XII Ferri appuntò: “Le scritture già colligate con questo Processo sono sotto il 1146, 1223 de februario et 1252 ... Agosto, 1266. 16 giugno, 1328. 25 Luglio, 1380. 2 Maggio. Tutte poste a loro Luoghi”.
Numerosi pezzi della serie Pergamene conservano tracce di legature, ora sciolte, che fanno supporre fossero, in molti casi, atti singoli raccolti in rotoli amministrativamente significativi. In altri casi si rinvengono, numerati come atti singoli, lacerti di registri composti di 2 o più carte, sciolti dalla rilegatura originaria per ricomporre, insieme ai pezzi singoli, un ordine cronologico coerente.
Estranei all’intervento di Ferri rimasero i documenti attualmente raccolti nelle buste della serie Bolle e Brevi pontifici, che furono oggetto di un intervento di riordino e inventariazione alla fine del secolo XVIII. Negli ultimi anni del Settecento, infatti, i verbali delle sedute del consiglio cittadino (35) testimoniano la decisione presa dal gonfaloniere e dai conservatori di affidare al ravennate Francesco Antonio Traversari, segretario della Segreteria Magistrale di Ravenna, l’incarico di valutare un piano di riordino dell’archivio pubblico di Imola. Trasferitosi a Imola per espletare l’incarico, e portatolo a termine, valutò il piano “molto ben concepito e adattato alle attuali circostanze di quel pubblico Uffizio”. Nella sua relazione, divisa in 13 punti, il solo punto 9 si riferisce alla documentazione anteriore al 1500: “Dovendosi rivedere molte pergamene che esistono in una cassa disordinate e confuse le quali riguardano Bolle e brevi e chirografi pontifici, dopo averle ad una per una esaminate, si porranno per regola di anni, mesi e giorni in diverse posizioni separate, formandone il loro indice particolare per la quale malagevole operazione si fissa la somma di £. 50”.
I lavori di riordino si avviarono. Ci resta a tale proposito la testimonianza di don Giuseppe Pasetti, già nel 1788 uno dei due segretari dell’Archivio pubblico, che in una memoria (36) non datata ma successiva al 1806, narra lo svolgimento dei lavori: 
"Nell’anno 1788 il primo d’Aprile come trovasi registrato nel Campione n. LXVII alla pagina 3, fu risoluto che si addossasse ai due segretari d’allora, vale a dire a me d. Giuseppe Pasetti primo segretario e al sig. Giuseppe Montanari secondo, la riordinazione della Segreteria o sia Archivio magistrale che era nella somma confusione e nel più deplorabile stato di disordine e ne fu fatta perizia chiamato a tale effetto il sig. Francesco Antonio Traversari secretario della comunità di Ravenna la qual perizia è registrata all’atto medesimo della citata risoluzione. Non fu assegnato alcun tempo preciso a terminare questo lavoro ma rimesso alla loro possibile discrezione.". Giuseppe Montanari rinunciò all’incarico nel novembre del 1796. Il sostituto durò appena due mesi perché il 2 febbraio 1797 giunsero i Francesi e caddero il magistrato e il consiglio e di conseguenza i segretari. Pasetti rimane solo con l’incarico del riordino e di custode dell’archivio, senza aiuto. Rispetto ai punti della perizia egli ha in più preparato “il Libro d’Oro” ossia il catalogo dei consiglieri e dei gonfalonieri dal 1504 in avanti e compilato l’indice dei campioni”.
Descrive nel seguito della memoria altre operazioni, soprattutto la laboriosissima creazione della serie Cause e affari pubblici e poi aggiunge:
"Di tutti i corpi poi, libri, posizioni, mazzi e pezzi d’ogni sorta lascio un Inventario individuale; e appresso lo stesso un repertorio alfabetico che indica a quale pagina dell’Inventario stesso si trova il tale o tale corpo e dove poi si vede in quale scansia e tavola resti collocato. E perché quest’Archivio si è fatto tre o quattro volte viaggiare per tutto il Palazzo ed ogni volta bisognò correggere i numeri indicanti le scansie e le tavole ove erano collocati i detti corpi così l’Inventario e Repertorio suddetto è divenuto alquanto sgorbiato e dovrà rifarsi una volta che l’Archivio ritrovi la sua stabile sede ove riposi tranquillo”.

L’Ottocento
Nonostante l’importanza degli interventi edilizi messi in opera durante il Settecento nel palazzo del comune, la staticità dell’edificio appariva precaria anche a metà del secolo XIX. Nel 1862 l’archivio pubblico, storico e corrente, si trovava ancora all’interno del palazzo comunale dove, in quell’anno, era crollata una parte del coperto e della volta della stanza destinata all’archivio. In una lettera datata 23 gennaio 1863, Luigi Marchi (37), protocollista e archivista comunale, proponeva, su richiesta del sindaco, lavori di ripristino all’antico archivio del comune. Oltre a proporre lavori di ripristino edilizio, Marchi scriveva: “Esiste in archivio una copiosa collezione di pergamene portanti privilegi imperiali e Pontificii, e pellegrine memorie di notabili fatti dall’anno 1084 al 1590. Parmi che questo monumento di patrie notizie dovesse conservarsi gelosamente, e non lasciarsi più oltre esposto alla polvere, legato soltanto con funicelle. Se si proponesse un’apposita custodia per ben guardarlo, non crederei di aver contrari i voti”.

L’inventario Marchi
Marchi ottenne e portò a termine l’incarico di ripristinare l’archivio e di compilarne un inventario sommario. Le carte furono collocate “in una aula spaziosa del Palazzo pubblico”. La documentazione fu disposta in quattro diverse scansie segnate dagli ordinali I, II, III, IV. La scansia I fu denominata da Marchi “Archivio antico”, la III “Archivio della Vice-Prefettura”, la II e la IV “Archivio corrente”. I mazzi delle Pergamene furono condizionati allora nelle cassette di legno tutt’ora esistenti (38). Per quanto attiene alle serie che attualmente raccolgono i documenti anteriori al 1512, nell’inventario Marchi si trovano le serie Pergamene, Libro Rosso, Bolle e diplomi e Miscellanee.
Notizie successive dell’archivio risalgono al 1898, anno in cui Romeo Galli compilò la voce Imola per il repertorio nazionale curato da Giuseppe Mazzatinti (39). L’archivio comunale a quel tempo era situato “in un’ampia sala del Palazzo comunale” (40); per esigenze di spazio e per una più agevole consultazione degli studiosi, Galli auspicava che si realizzasse la “progettata divisione della parte storico antica (fino a tutto il sec. XVIII) da quella amministrativa recente”, collocando la sezione storica nei locali della Biblioteca del comune (41). L’archivio comunale “o della Segreteria” aveva subito danni gravi - a suo dire - nel corso dei secoli, danni attestati da superstiti documenti bruciati; e manomissioni e furti testimoniati indirettamente dalle reiterate disposizioni dell’autorità cittadina, rintracciabili nei Campioni, che comminavano pene gravi a chi deteneva indebitamente documenti e atti pubblici.

Il Novecento e l’accorpamento alla Biblioteca comunale
Il desiderio espresso da Romeo Galli si innestava evidentemente in un dibattito già in corso in seno alla comunità: infatti, in una seduta consigliare (42) del 13 dicembre 1902 fu approvata una modifica a diversi articoli del regolamento della Biblioteca tale da permettere il trasferimento della documentazione “dal 1080 al 1859” in quell’istituto.
Nel 1933 Galli nella relazione annuale al podestà (43) esprimeva soddisfazione per il trasferimento dell’archivio storico nei locali e sotto il controllo della Biblioteca comunale (44) e preannunciava l’intenzione di compilare “un preciso inventario” e predisporne poi “un’ampia relazione informativa” da dare alle stampe, destinata agli studiosi di storia emiliano-romagnola come guida sicura per le loro ricerche.

L’inventario Galli
L’Inventario, deliberato nel dicembre del 1927, fu redatto a cura di Romeo Galli negli anni successivi e consegnato il 27 dicembre 1933.
Per quanto attiene alla documentazione anteriore al secolo XVI sono segnalate per la prima volta le serie Documenti storici ed amministrativi (sul dorso delle buste è presente la denominazione "Documenti amministrativi") e Documenti e carte diverse (sul dorso delle buste è presente la denominazione "Documenti varii").
Documenti storici ed amministrativi / Documenti amministrativi - Si tratta di una miscellanea documentaria che attualmente conserva 48 unità archivistiche che raccolgono un totale di 587 pezzi, il tutto condizionato in due buste, i cui termini cronologici sono 1292 - 1602.
La serie non era segnalata nell’inventario del 1863 nel quale però, sotto il titolo “Archivio antico” si identificava da ultima la serie Miscellanee, divisa in 20 sottotitoli. Al n. 20 si trovavano: “Carte antiche senza Indice, confuse, e senza ordine cronologico, malconcie e guaste”. I mazzi della serie miscellanee erano tutti collocati nella quarta scansia dello scaffale I; “le carte antiche di cui al n. 20 sono in due custodie di cartone riposte nell’armadio della prima scanzia” (45).
Tale descrizione può essere attribuita alla serie che nell’Inventario dell’Archivio storico del comune di Imola del 1933 reca il titolo Documenti storici ed amministrativi. Lo strumento informa (46) che la serie constava nel 1933 di 3 buste nelle quali “furono raccolti i documenti sciolti, anteriori al secolo XVI, venuti in luce dopo il riordinamento fatto dall’abate Ferri”. Lo stesso Inventario non segnala la consistenza numerica della serie e ne indica genericamente i termini cronologici: sec. XIII-XVI.
Si tratta di documenti vari pertinenti all’amministrazione cittadina soprattutto di carattere giudiziario, fiscale e contabile, perfettamente congruenti con carte analoghe raccolte nella serie Pergamene.
Documenti e carte diverse / Documenti varii - È una raccolta miscellanea che consta di 42 unità archivistiche che ordinano 179 pezzi, il tutto condizionato in due buste che recano sulla costa il titolo “Documenti varii”.
Nell’Inventario dell’Archivio storico del comune di Imola del 1933 la serie reca invece il titolo Documenti e carte diverse. Lo strumento informa che la serie fu costituita nel 1895 a seguito del recupero avvenuto il 31 ottobre di quell’anno di un insieme di documenti appartenenti alla famiglia Ferri abbandonati nell’Ufficio del Registro e Bollo da un discendente dei Ferri che era stato impiegato in quell’ufficio. Antonio Ferri era morto il 10 dicembre 1728 e nel suo testamento - datato 3 maggio 1722 - aveva disposto che tutti i suoi manoscritti, minuziosamente elencati, rimanessero nella sua abitazione, disponibili però alla consultazione. Alla morte del suo ultimo erede avrebbero dovuto essere consegnati all’archivio pubblico. Evidentemente Ferri aveva ritenuto presso di sé, oltre ai suoi manoscritti, anche carte dei diversi archivi cittadini che aveva riordinato e che dal 1895 furono acquisiti dall’Archivio storico comunale.
L’Inventario del 1933 segnala una consistenza di 161 pezzi condizionati in due cassette e indica i termini cronologici della serie 1040-1705. Attualmente la consistenza della serie appare diversa: nelle due buste si trovano 179 pezzi e i termini cronologici sono 1160 - 1762.
All’interno delle buste si trovano diversi fascicoli dei quali uno è condizionato in una carpetta azzurra che reca il titolo: “Documenti vari I. Documenti pervenuti dall’eredità di P. Gaddoni consegnati da P. Bughetti”, e consta di 9 pezzi. Anche all’interno della serie Pergamene si trovano 8 unità archivistiche che recano la medesima annotazione: sono precisamente i nn. 33, 47, 63 e 155 del mazzo II; i nn. 15 e 92 del mazzo IV e i nn. 82 e 83 del mazzo V. Alla morte di Gaddoni i documenti dell’archivio comunale che erano rimasti nelle sue mani furono restituiti (47) ma, defunto il Gaddoni, si riuscì a ricollocare solo i pezzi della serie Pergamene che hanno segnature inequivocabili, mentre gli altri furono raccolti nella miscellanea Documenti e carte diverse perché già costituita da pezzi recuperati dall’eredità Ferri.
Il pezzo più antico della serie Documenti e carte diverse / Documenti varii - datato San Cassiano, nel portico dei canonici di S. Cassiano, 1160 gennaio 28 - reca sul margine alto del verso la datazione apposta dalla mano di Antonio Ferri e un numero in cifre romane: “III”, caratteristiche di ordinamento simili a quelle della serie Pergamene. Nel mazzo I della serie, dove il pezzo andrebbe di regola collocato, il numero 3 è però presente. Dato che l’abate riordinò - probabilmente con criteri simili a quelli impiegati nell’Archivio della comunità - anche la documentazione antica dei canonici della Cattedrale, si può presumere con buoni margini di certezza che il pezzo provenga da lì, che sia rimasto nelle mani di Ferri e confluito nell’archivio storico comunale quando nel 1895, ne fu recuperata l’eredità.
Si tratta dunque di una serie miscellanea, che è evidentemente stata oggetto di molteplici interventi nel corso di diverse - e attualmente, almeno in parte, sconosciute - operazioni di riordino dell’archivio storico.

Dagli anni Trenta del Novecento a oggi
Dopo il 1933 non si ha notizia di ulteriori lavori di riordino alle serie più antiche, ma solo di ricognizioni periodiche della serie Pergamene.
In una relazione di Stelio Bassi (48), direttore della Biblioteca di Imola, redatta nel 1939 al momento di cedere l’incarico ad Antonio Toschi, a c. 16 si trova l’affermazione: “È stata compiuta la verifica e il riordinamento delle pergamene comprendenti gli Atti del comune dal 1084 al 1590”. A questo riordino si riferiscono i foglietti sciolti posti all’interno delle cassette, manoscritti, che riportano la consistenza dei mazzi e gli eventuali pezzi mancanti. Il lavoro fu eseguito dal vigile urbano Guglielmo Cenni.
Un’ulteriore ricognizione fu effettuata nel settembre 1969 da Giorgio Gaspari: sul lato interno di ogni cassetta fu appuntato un foglietto dattiloscritto con annotate la data e l’esito della ricognizione. L’ultima ricognizione del fondo è stata esperita nel novembre 1985 da Anna Marchi.
Quattro pezzi che risultano mancanti nella ricognizione del 1939 (49) sono attualmente conservati presso la Biblioteca Trivulziana di Milano. I pezzi furono riprodotti fotograficamente e donati alla Biblioteca di Imola da Cesare Manaresi nell’ottobre 1946. Non si conoscono attualmente le vicende che portarono in un primo tempo alla dispersione dei pezzi e, in seguito, al loro ritrovamento. Il rapporto personale che legava Cesare Manaresi, originario di Imola, e Romeo Galli contribuì sicuramente all’integrazione della serie.

Note
(1) GADDONI 1911, a p. 153, citato in PADOVANI 1997, a p. 121.
(2) Bim, ASCI, Pergamene, I, n. 40, in copia autentica in Bim, ASCI, Libro Rosso, c. 40v.
(3) PADOVANI 1997, p. 121.
(4) Copia autentica redatta nel 1251 in Bim, ASCI, Libro Rosso, c. 74r-v.
(5) Ibid., cc. 73v-74r.
(6) Bim, ASCI, Pergamene, I, n. 95, pubblicato in appendice a Statuti, pp. 313-314.
(7) Bim, ASCI, Pergamene, II, n. 95.
(8) Bim, ASCI, Libro Rosso, c. 47r: “Hoc est excenplum registri comunis Ymole scriptum et excenplatum / per me Sperandeum ymolensem notarium, de mandato domini Fulchi Radi/ni vicarii generalis in civitate Ymole nobilis viri domini Alberti / de Fontana, Bononie et Ymole honorabilis potestatis, et de voluntate ançia/norum populli ymolensis secundum formam statuti comunis Ymole facti per ançianos / populli tempore dicti vicarii, curente anno Domini millesimo ducentesimo sexagesimo / nono, indictione duodecima, apostolica sede vacante et nullo imperatore / in romano imperio imperante”.
(9) Libro rosso. Il Registrum comunis Ymole del 1239 con addizioni al 1269, a cura di Tiziana Lazzari, Imola, Biblioteca comunale di Imola, 2005.
(10) Bim, ASCI, Pergamene, III, n. 22.
(11) Bim, ASCI, Pergamene, III, n. 75.
(12) Bim, ASCI, Pergamene, III, n. 122.
(13) Pubblicato in appendice a Statuti, pp. 314-316. 
(14) Bim, ASCI, Pergamene, III, n. 165.
(15) Bim, ASCI, Pergamene, VI, n. 37.
(16) Bim, ASCI, Pergamene, VII, n. 22.
(17) Bim, ASCI, Pergamene, VII, n. 23.
(18) Bim, ASCI, Pergamene, VII, n. 28.
(19) Bim, ASCI, Pergamene, VIII, n. 65.
(20) Bim, ASCI, Capitoli, mazzo I, n. 5.
(21) Bim, Manoscritti imolesi, n. 364.
(22) Si veda di PADOVANI 1997, in specie a p. 121.
(23) La compilazione originaria del registro (1239) era divisa in due parti: nella prima, la più corposa, si trovava un elenco - non cronologico - dei documenti, trascritti, a seguire, in forma autentica; nella seconda venivano invece solo elencati e identificati da un breve regesto gli altri documenti del comune. Cfr. Bim, ASCI, Libro Rosso, c. 43r: “In secunda vero parte huius libri fit mentio et certa recordatio de omnibus aliis instrumentis comunis Ymole que in cura et custodia boni viri fuerunt deposita pro comuni”.
(24) Bim, ASCI, Pergamene, XIII, n. 1. Nel 1293-94 Angelo del fu Villano, a nome anche di Nicola de Castellanis, chiede che avendo essi terminato il loro servizio presso la “sacrestia” del comune, venga loro corrisposto lo stipendio dovuto.
(25) Statuti di Imola, l. 1, r. XXXI.
(26) MARCHI, Inventario.
(27) Cfr. GALLI 1898, alle pp. 177-178.
(28) GADDONI 1911. 
(29) CAVINA 2001-02.
(30) SASI, Archivio notarile, Girolamo Cappucci. Nel manoscritto “Notizie de fatti memorabili della città d’Imola tratte dalla storia composta in latino dal dottore di leggi Vincenzo Savini del numero de consiglieri e dedicate all’illustrissimo Senato di detta città da Vincenzo Cattaneo consigliere e primo segretario” (Bim, Manoscritti imolesi, n. 41), a c. 238v sotto il titolo “Fabbrica del Pubblico Archivio e Capitoli del medesimo” (anno 1576) si legge la notizia: “Essendosi posta mano alla fabbrica del pubblico Archivio furono adì 16 ottobre nominati dal Consiglio per sovraintendervi Giambattista Broccardo, Pompeo Calvo, Alessandro Vandini e Pietro Arvasini, e per distendere li Capitoli del medesimo restarono deputati Paolo Machirelli, Dario Poggiolini e Giuseppe Gibetti”.
(31) Bim, ASCI, Campioni, n. 37 (1634-1643), c. 46r-v: “Postea proposuit quod Campioni Estimi nunc extant imperficti tum quod ad repelatorem tum etiam ad scriptorem super qua propositione fuit conclusus ut Ill. Magistratus providat de personis idoneis arbitrio suo. Postea proposuit esse regulandas scripturas omnis archiviis secretarie publice que extant in armariis in confusum et in omnibus casibus et occurrentiis sic stantibus cum multas nullam utilitatem recipere posset et si quo affirunt pro heditium maximum negotiis publicis (vero). d. Iohannes Paulus Borellius, d. Iacobus Marlanius et d. Iulius Codruncus esse elligendas personas ad regulandas dd. scripturas omni medesmo cum honesta provisione (...) eorum laborem fuit conclusum viva voce ut elligant periti et idonei per Ill. Magistratum qui habeant regulare omnes scripturas archivii predicte secretarie eorum iudicio et peritia cum honesta recognitione (...) eorum labores omni med. ms”.
(32) Galli cita come fonte “Camp. Comunali, anno 1759”.
(33) Cfr. CECCARELLI 2002.
(34) ALVISI 1909, pp. 49-51.
(35) Bim, ASCI, Campioni, n. 67: rilegata fra c. 2 e c. 3 si trova, datata Imola 22 febbraio 1788, la “Relazione agl’ill.mi signori Gonfaloniere e Conservatori della Città d’Imola e ill.mi sig.ri Deputati alla Sopraintendenza della Riordinazione de’ Documenti di quella pubblica Segretaria” redatta da Francesco Antonio Tarversari della Segreteria ravennate.
(36) Bim, ASCI, Campioni, n. 67: ancora rilegata fra c. 2 e c. 3: “Memoria riguardante l’ordinazione della Secreteria ovvero Archivio della comunità d’Imola di suo principio sino all’anno 1797”.
(37) Bim, ASCI, Carteggio amministrativo, b. 671, tit. 11, rubr. 6, posiz. 8 (1863-64), lettera di Luigi Marchi datata Imola 23 gennaio 1863.
(38) Nel medesimo fascicolo è conservata una lettera datata 24 agosto 1863 di Ottavio Turrini, l’artigiano incaricato della “costruzione di tredici cassette per custodire Pergamene, e carte antiche di questo comunale Archivio” realizzata con “un legno ben stagionato e durabile” (olmo); Turrini nella missiva lamenta come l’amministrazione comunale avesse decurtato dalla somma indicata nella sua nota le 17 lire che egli aveva impiegato per pagare “i ferramenti delle rispettive cassette”. Il 28 agosto dello stesso anno il funzionario del comune ribadì che si dovevano pagare a Turrini lire 6,75 per ciascuna cassetta, in base a quanto in precedenza pattuito.
(39) GALLI 1898, nota 160.
(40) Ibid., p. 155.
(41) Ibid.
(42) Bim, ASCI, Deliberazioni del Consiglio comunale, 1902, p. 256 e segg.
(43) GALLI, Relazione.
(44) Ibid., a p. 21 Galli scriveva: “Isolato lassù, in un gelido salone dell’antico palazzo comunale, esso fu, per molti anni, inonorata vittima dell’avidità di grossi roditori, della violenza dei venti, delle infiltrazioni dell’acqua piovana, e, ahimè, delle ricerche non sempre disinteressate di chi, sotto colore di studio, o colla scusa dell’amicizia, amava rovistarne le carte, scompigliando l’ordine antico, o, peggio ancora, depredandole e danneggiandole con fenestrelle, tutt’ora visibili, per tagliarne francobolli, miniature e bolli più o meno preziosi. Nella revisione operata in occasione del suo riordinamento, qui, non un francobollo si è trovato. E il materiale fra il ‘50 e il ‘70 è quello che è apparso più manomesso e più guasto!... Di chi la colpa? Di nessuno, in verità. Perché l’Archivio fu, per molti anni almeno, res nullius e chiunque poteva ficcarvi il naso e le mani a suo piacere ...”.
(45) Cfr. MARCHI, Inventario, p. 30.
(46) GALLI 1933, a p. 1.
(47) Bim, ABCI, Copialettere, n. 76 (1927-1928), cc. 54-55: consegna da parte di padre Bughetti di documenti dell’archivio storico comunale di Imola, che si trovavano tra le carte di padre Gaddoni “da lui prese in prestito dal prof. Foscolo Marchi”.
(48) Bim, ABCI, Corrispondenza, b. 19, 1939, n. 2.
(49) Bim, ASCI, Pergamene, I, n. 34; III, n. 123; VI, n. 38; X, n. 48.

strumenti di ricerca
Tiziana LazzariArchivio storico comunale di Imola. Periodo medievale 1084-1504 (con documentazione al 1033 e al 1591). Inventario, Imola, 2003, revisione 2005
Indici a cura di Emanuela Garimberti, Inventario dell'Archivio comunale d'Imola dall'anno 1084 a tutto il 1863, Imola, 1863
MARCHI, Inventario, Archivio storico. Inventario (1084-1900), Imola, 1933
GALLI 1933

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Carla CasazzaGoverno ed amministrazione ad Imola nella prima età moderna: analisi dei "Campioni" della comunità (1545-1555), Bologna, Università degli studi, 1991/92
relatore prof. A. Biondi, Facoltà di Magistero, a.a. 1991-1992
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Federica CavinaI francescani a Imola nel XIII e XIV secolo, Bologna, Università degli studi, 2001/02
relatore M. Montanari, Facoltà di conservazione dei beni culturali, Laurea in conservazione dei beni culturali, tesi in storia dell'Emilia Romagna del medioevo e dell'eta moderna
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Corpus chronicorum Bononiensium, in «RIS2, t. XVIII/I, 4 voll.», a cura di Albano Sorbelli, Città di Castello - Bologna, 1906-1940
Ccb
Francesco CeccarelliIl sistema delle piazze tra Seicento e Settecento
Il sistema delle piazze tra Seicento e Settecento, in «Spazi urbani e società cittadina dal Medioevo all'Età contemporanea», a cura di Massimo Montanari e Tiziana Lazzari, Imola, 2002
CECCARELLI 2002


codice interno: 212 - 001.001

informazioni redazionali
Inventario a cura di
Tiziana Lazzari, 2003, revisione 2005

realizzato per
Archivio storico comunale di Imola

Revisione a cura di 
Simona Dall'Ara (Archivio storico comunale di Imola), Lorena Cerasi (Open Group), 2020