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  Consigli 13 novembre 1575 - 13 maggio 1808
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con susseguenti del 1814 mag. 13 - 1815 apr. 3
serie
registri 42
sei in: Archivio storico del Comune di San Leo 10 marzo 1509 - 1945 / Periodo della Comunità 10 marzo 1509 - 25 marzo 1808

Vi sono verbalizzate le assemblee deliberative del comune e, dal sec. XVIII, anche le assemblee ridotte, che vanno sotto il nome di congregazioni, istituite per la gestione di affari particolari.
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Ogni singola verbalizzazione avviene secondo uno schema costante che prevede, dopo l'invocazione, l'indicazione della data ed a seguire, la formula che dà per adunato il consiglio, con indicazione del luogo, alla presenza dell'autorità competente e l'elenco dei priori e consiglieri che vi intervengono. Seguono le proposte e le relative risoluzioni.
In epoca più antica, così come si evince dall'analisi del primo dei registri rimasti, si annotavano semplicemente le risoluzioni in forma breve, senza indicare le relative proposte ed il seppur minimo dibattito.
In seguito, lo schema adottato nella registrazione prevedeva, relativamente ad ogni punto messo all'ordine del giorno, l'annotazione della proposta ed a seguire la relativa risoluzione, per giungere, nella prima metà del Seicento, allo schema che rimarrà costante e che prevede la registrazione di tutti gli argomenti posti all'ordine del giorno, numerati in successione, ed a sguire tutte le discussioni e relative deliberazioni contrassegnate dallo stesso numero della relativa proposta. In coda, interventi estemporanei e non previsto di consiglieri che palesavano problemi di interesse comunitario di cui erano giunti a conoscenza.
In alcuni casi, per non essere presente il numero sufficiente dei consiglieri per rendere legale la seduta, dopo la registrazione dei presenti, si chiude la verbalizzazione; in altri casi, si espongono e conseguentemente si registrano gli oggetti all'ordine del giorno e si rimandano al consiglio successivo le relative deliberazioni. Ciò comporta che, nei registri, si trovino le annotazioni relative alle proposte sotto una data ed in altro verbale le relative deliberazioni.
Sino a che, a partire dal 1657-1658, non vengono create serie documentarie proprie, molti documenti di particolare importanza venivano annotati nei registri dei consigli, considerati i "libri" della comunità per eccellenza. Vi si ritrovano infatti: obbligazioni e fideiussioni date, all'atto dell'entrata in carica, da ufficiali del comun e da coloro che si erano aggiudicati in appalto o all'asta servizi comunali, con registrazione dei relativi capitoli e patti; instrumenti; lettere dell'autorità superiore, ducale prima e legatizia poi, inviate alla comunità per il tramite del podestà o del commissario; verbali dei giuramenti dei podestà e copia delle loro lettere patenti.
La tenuta di questi registri era del notaio - cancelliere della comunità che, presente ai consigli, minutava la verbalizzazione della seduta per poi riportarla in forma estesa ed in bella copia in questi registri. Questo tipo di procedura ci viene suggerito da una nota che lo stesso cancelliere pone in testa del verbale del consiglio del 4 maggio 1578 ed in coda a quello del 5 marzo 1780, in cui dichiara che, in sua assenza, il verbale è stato minutato da un altro e la minuta consegnatagli dal capo priore perché la registrasse.
Preme sottolineare la presenza, nel primo dei registri della serie,, delle verbalizzazioni degli ultimi arenghi generali, cioé assemblee deliberative formate di tutti i capi famiglia del comune, retaggio delle istituzioni comunali alto medievali, destinati a scomparire completamente soppiantati da assemblee rappresentative.
Dei quattro che vi sono verbalizzati, i primi tre hanno scadenza semestrale e gli argomenti trattati non sembrano di particolare importanza tanto da giustificare un'assemblea universale, sembra piuttosto trattarsi di una consuetudine che voleva che in primavera ed in autunno si tenesse un arengo generale. Il quarto, convocato a tentasei anni di distanza dall'ultimo, nel novembre del 1603, risulta convocato perché per mancanza del numero legale del Consiglio dei Quaranta non era possibile trattare gli affari comunitativi. In quell'assemblea furono iscritte 121 persone.

informazioni sul contesto di produzione
Con il termine di Consigli sono indicate le assemblee deliberative della comunità, che avvenivano alla presenza del podestà, a cui si aggiungeva il commissario della Provincia del Montefeltro quando venivano trattate questioni su cui lo stesso era chiamato a vigilare per disposizione superiore, o alla presenza del solo commissario se il podestà era impedito. Sempre presente doveva essere il notaio - cancelliere che ne redigeva i verbali.
L'assemblea era formata di soggetti detti consiglieri, il cui numero è più volte variato nel corso della storia e che, a tenore delle norme statutarie, erano tenuti ad andare in consiglio tutte le volte che lo stesso fosse stato bandito dal piazzaro, su mandato del podestà, a sua volta richiestone dai priori.
Il non intervenire una volta che si era stati chiamati in consiglio, comportava, secondo lo statuto, l'applicazione di una multa, di fatto mai comminata, tanto che, quando nel maggio del 1631 il podestà tenta di far tornare in auge la disposizione, i consiglieri si oppongono.
Una volta congregato il consiglio, dopo aver fatto l'appello, coloro che vi erano intervenuti potevano fare le loro proposte, dopo averne ottenuta licenza dal podestà, stando in piedi, Intervenuti sul tema tutti gli interessati, si procedeva alla votazione da frasi o per alzata in piedi, quindi in forma palese, o per deposizione delle fave nell'apposito bussolo, in forma segreta.
Nel sec. XVIII, la procedura prevedeva che fosse il gonfaloniere ad esporre l'argomento all'ordine del giorno, dopo di che veniva estratto a sorte un consigliere detto arringatore, che formulava una risoluzione che veniva poi votata dai consiglieri.
Sulla modalità delle votazioni, il duca interviene, nel maggio del 1586, con una sua lettera diretta al commissario del Montefeltro in cui, lamentandosi che in consiglio a San Leo la votazione viene fatta a viva voce senza adoperare il bussolo e le fave, ordina che si proceda secondo lo statuto.
La validità delle risoluzioni prese in seduta consiliare era data dal voto dei 2/3 dei consiglieri. Da una annotazione del settembre 1640 emerge che non tutti i consiglieri avevano diritto di voto, infatti in quell'occasione, nel distribuire le fave per votare, viene lasciato fuori un consigliere in quanto minorenne. Divenendo sempre più difficile radunare i 2/3 dei consiglieri, si giunge spesso, nella seconda metà del sec. XVII, a chiedere all'autorità superiore, in deroga alle disposizioni statutarie, la validità dei consigli tenutisi con numero inferiore a quello legale.


codice interno: 485 - 001.001.003